martedì 2 settembre 2014

TERZA DOMENICA DI PASQUA

Solo alcune sottolineature alla pagina del Vangelo di Emmaus (Lc 24,13-35), senza pretesa di commentarla in modo esaustivo perché è ricchissima di messaggi.
E’ una esclusiva di Luca, un capolavoro di catechesi liturgica e missionaria, oltre che ad essere dotata di bellezza letteraria e teologica. Un succedersi di parole, gesti, sorprese. Tutto per farci comprendere che la Risurrezione va vista con gli occhi della fede che è l’ala dataci da Dio per salire fino a Lui.
Due uomini sul tragitto di pochi km (circa 11) che separa Gerusalemme da Emmaus, la cui ubicazione certa è per ora affidata solo a delle ipotesi. C’è comunque una Emmaus spirituale che tutti ci portiamo dentro.
Due discepoli, uno di nome di Cleopa: abile strategia narrativa di Luca per ancorare alla storia concreta la vicenda che sta narrando e l’altro, invece, senza nome, forse perché ciascuno di noi possa identificarsi in lui e fare la medesima esperienza …
Sono due camminatori ex entusiasti, sconsolati per la vicenda di Gesù finita nel sangue, con tanta tristezza addosso, con il sapore amaro di una sconfitta e del “tutto finito” perché la morte di Gesù era suonata come una campana a morto sulle loro speranze. Il loro cammino è corredato di reciproca lamentazione e di progressivo affossamento. Mal comune difficilmente fa mezzo gaudio. Spesso, fa solo doppia tristezza. Questi due specialisti dello sconforto, Luca li tratteggia con una espressiva pennellata: “il volto triste” (Lc 24,17). Non è un tocco da romanzo. E’ una fotografia. La fotografia nitida anche di noi quando facciamo naufragio nelle nostre delusioni e frustrazioni.
Incontro, domanda e racconto. La Parola e il Pane si fanno strada.
Mentre si stanno sfogando a vicenda, si affianca a loro uno sconosciuto. E’ il Risorto ma non lo riconoscono. Il Signore abita nei nostri passi. Li rallenta al loro ritmo. Non perde mai le nostre tracce. Avvicinarci nell’ora della nostra tristezza è una regola di Dio. A volte facciamo difficoltà a sentirlo presente ma lo possiamo intercettare solo con la fede.  
Di che cosa stavate discutendo lungo la via?” (Lc 24,17). Gesù li ascolta con paziente attesa. Ed essi narrano i momenti tragici della Passione. Penso che non sia mai successo a nessuno di raccontare all’interessato … la sua morte e fargli il resoconto puntiglioso dei suoi funerali! E pronunciano la frase più triste di tutto il Vangelo: “Noi speravamo …” (Lc 24,21)
A volte anche noi coniughiamo esistenzialmente i verbi solo all’imperfetto o al passato e così disseminiamo la nostra strada di pietre tombali e di definitivi “ormai”…
Gesù li rende coscienti che hanno “bucato” il fatto più clamoroso, quello cha cambia tutto: la sua risurrezione! Hanno definito “forestiero”(Lc 24,18) il loro compagno di viaggio, ma in realtà sono proprio loro i “forestieri”, cioè i più lontani dal senso vero della venuta di Gesù, da loro interpretata in termini di potere e di successo. Gesù “parte in quarta” e li inchioda con un rimprovero che ha lo schiocco di una frustata: “stolti e lenti di cuore”. “E cominciando da Mosè …” (Lc 24,27): Gesù improvvisa solo per loro due un minicorso biblico, meglio offre loro una lectio divina lampo! Gesù esegeta, facendo memoria delle mirabilia Dei attualizzandole, li sblocca dal venerdi santo e dal sepolcro vuoto dove si erano fermati, per riorientare la loro lettura degli avvenimenti verso la risurrezione. Ma anche la spiegazione della Scrittura fatta da un catechista d’eccezione come Gesù non è sufficiente ad aprire i loro occhi. E allora termina la liturgia della Parola e si passa a quella eucaristica: “spezzò il pane e lo diede loro”. Un segno che non lascia dubbi. Un tuffo al cuore, lo riconoscono.
La liturgia della strada sfocia in una liturgia della speranza. Erano partiti dalla stazione della tristezza e sono arrivati alla stazione della gioia.

Resta con noi Signore, perché ormai si fa sera”(Lc 24,29). Ripetiamo spesso questa preghiera dei due discepoli di Emmaus.  “Si fa sera …”  E’ sempre “sera”, anzi notte buia, senza di Lui.

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