Solo alcune
sottolineature alla pagina del Vangelo di Emmaus (Lc 24,13-35), senza pretesa
di commentarla in modo esaustivo perché è ricchissima di messaggi.
E’ una esclusiva di
Luca, un capolavoro di catechesi liturgica e missionaria, oltre che ad essere
dotata di bellezza letteraria e teologica. Un succedersi di parole, gesti,
sorprese. Tutto per farci comprendere che la Risurrezione va vista con gli
occhi della fede che è l’ala dataci da Dio per salire fino a Lui.
Due uomini sul tragitto
di pochi km (circa 11) che separa Gerusalemme da Emmaus, la cui ubicazione
certa è per ora affidata solo a delle ipotesi. C’è comunque una Emmaus
spirituale che tutti ci portiamo dentro.
Due discepoli, uno di
nome di Cleopa: abile strategia narrativa di Luca per ancorare alla storia
concreta la vicenda che sta narrando e l’altro, invece, senza nome, forse
perché ciascuno di noi possa identificarsi in lui e fare la medesima esperienza
…
Sono due camminatori ex
entusiasti, sconsolati per la vicenda di Gesù finita nel sangue, con tanta
tristezza addosso, con il sapore amaro di una sconfitta e del “tutto finito”
perché la morte di Gesù era suonata come una campana a morto sulle loro
speranze. Il loro cammino è corredato di reciproca lamentazione e di
progressivo affossamento. Mal comune difficilmente fa mezzo gaudio. Spesso, fa
solo doppia tristezza. Questi due specialisti dello sconforto, Luca li
tratteggia con una espressiva pennellata: “il
volto triste” (Lc 24,17). Non è un tocco da romanzo. E’ una fotografia. La
fotografia nitida anche di noi quando facciamo naufragio nelle nostre delusioni
e frustrazioni.
Incontro, domanda e
racconto. La Parola e il Pane si fanno strada.
Mentre si stanno
sfogando a vicenda, si affianca a loro uno sconosciuto. E’ il Risorto ma non lo
riconoscono. Il Signore abita nei nostri passi. Li rallenta al loro ritmo. Non
perde mai le nostre tracce. Avvicinarci nell’ora della nostra tristezza è una
regola di Dio. A volte facciamo difficoltà a sentirlo presente ma lo possiamo
intercettare solo con la fede.
“Di che cosa stavate discutendo lungo la via?” (Lc 24,17). Gesù li ascolta
con paziente attesa. Ed essi narrano i momenti tragici della Passione. Penso
che non sia mai successo a nessuno di raccontare all’interessato … la sua morte
e fargli il resoconto puntiglioso dei suoi funerali! E pronunciano la frase più
triste di tutto il Vangelo: “Noi
speravamo …” (Lc 24,21)
A volte anche noi
coniughiamo esistenzialmente i verbi solo all’imperfetto o al passato e così
disseminiamo la nostra strada di pietre tombali e di definitivi “ormai”…
Gesù li rende coscienti
che hanno “bucato” il fatto più clamoroso, quello cha cambia tutto: la sua
risurrezione! Hanno definito “forestiero”(Lc
24,18) il loro compagno di viaggio, ma in realtà sono proprio loro i
“forestieri”, cioè i più lontani dal senso vero della venuta di Gesù, da loro
interpretata in termini di potere e di successo. Gesù “parte in quarta” e li
inchioda con un rimprovero che ha lo schiocco di una frustata: “stolti e lenti di cuore”. “E cominciando da Mosè …” (Lc 24,27): Gesù
improvvisa solo per loro due un minicorso biblico, meglio offre loro una lectio
divina lampo! Gesù esegeta, facendo memoria delle mirabilia Dei attualizzandole, li sblocca dal venerdi santo e dal
sepolcro vuoto dove si erano fermati, per riorientare la loro lettura degli
avvenimenti verso la risurrezione. Ma anche la spiegazione della Scrittura
fatta da un catechista d’eccezione come Gesù non è sufficiente ad aprire i loro
occhi. E allora termina la liturgia della Parola e si passa a quella
eucaristica: “spezzò il pane e lo diede
loro”. Un segno che non lascia dubbi. Un tuffo al cuore, lo riconoscono.
La liturgia della
strada sfocia in una liturgia della speranza. Erano partiti dalla stazione
della tristezza e sono arrivati alla stazione della gioia.
”Resta con noi Signore, perché ormai si fa sera”(Lc 24,29).
Ripetiamo spesso questa preghiera dei due discepoli di Emmaus. “Si fa
sera …” E’ sempre “sera”, anzi notte buia, senza di Lui.
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