Lo ha voluto Lui. Con un
gesto libero, disarmante, originalissimo. Da Dio. Lo ha voluto Lui nell’ultima Cena, dopo quel
chiodo di tenerezza che è la lavanda dei piedi. Ultima Cena, nella quale ha le
radici la solennità che stiamo celebrando, anche se liturgicamente ha avuto
origine in un altro contesto storico: “Prendete
e mangiate”-“Prendete e bevete”. Gesù decide di rispondere al
suo desiderio di stare sempre con noi rimanendoci nel segno umile, semplice,
fragile, quotidiano di un pezzetto di pane e di un po’ di vino.
Un pane come
pro-memoria del suo amore. L’emozione di un Dio che mi raggiunge come sono:
sporco o splendido e fa di me il suo tabernacolo che cammina. Ciascuno di noi è
il tabernacolo che preferisce.
Ad ogni Eucarestia è
Dio che ci cerca e ci chiama: “Beati gli
invitati alla cena del Signore
…”. La piccola ostia che sa di niente e che S. Teresina chiamava “cielo che sei mio” ci fa affacciare
sull’immensità di Dio. In noi si deposita l’orma lieve di Dio, lieve come
l’ostia. Si immerge nel nostro cuore per organizzare l’amore.
La festa del Corpo di
Cristo, offerto come pane, ci ricorda che solo il dono di sé da senso alla
vita, è l’unica strada per la vera felicità. L’Eucarestia educa al servizio,
non ci lascia in un’ovattata sonnolenza. L’Eucarestia ricevuta ci compromette
perché ci impegna ad una vita non troppo dissimile da quella di Gesù. Ci
insegna l’arte del servizio. “Fate questo
in memoria di me” significa di
certo: “celebrate questo rito per rendermi realmente presente”, quindi non un
semplice ricordo emotivo della sua Pasqua, ma significa anche: fatevi voi pane
e vino per i vostri fratelli. Come voi ricevete me nell’Eucarestia, così gli
altri devono ricevere voi nella loro vita. Chi non vive eucaristicamente vive
egoisticamente.
E vivere così, di
giorno in giorno, fino all’ultimo, quando il nostro morire sarà passare nella
sua Pasqua, e l’ultima Eucarestia sarà il “viatico”, cioè l’unico e bellissimo
ricordo che ci porteremo via da questa terra, per andare là dove si ama senza fine.
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