martedì 2 settembre 2014

SOLENNITÀ DELL’ASCENSIONE (A)

Per Gesù l’ultimo appuntamento è sempre il penultimo: quello al monte, luogo dell’esperienza divina, è rimasto il primo di una serie infinita di appuntamenti.
Quello sperone di monte sembra una scogliera di naufraghi abbandonati. Ed è lì che Gesù ha dato l’appuntamento agli undici. Ed è lì che Gesù                                    prende, per così dire, la doppia cittadinanza, quella del cielo e quella della terra. In altre parole: si conclude il tempo del Gesù storico e sboccia quello della Chiesa, fatta di uomini fragili e peccatori ma anche di tanti santi!
L’Ascensione, cioè Gesù che va al cielo sotto gli occhi attoniti dei suoi discepoli, disorientati e spiazzati, alcuni in adorazione altri nel dubbio, come ce la presenta gli Atti (prima lettura), non è un finale da commedia all’americana, non è un episodio da leggere come un reportage, non è un fenomeno mediatico dai connotati paranormali. Al contrario: quello di Gesù è un passaggio di consegne che illumina di concretezza il percorso della nostra vita. L’Ascensione non è la festa della sua partenza ma della sua permanenza. Gesù, nel Vangelo prima proclamato - pochi versetti di Matteo, un evangelista-teologo - e che sprizza scintille di risurrezione, ci incarica di renderlo visibile dappertutto, a cominciare da dove viviamo, che è il luogo in cui Dio ci chiama a farci santi.

Le nostre 24 ore sono la piazza di quel Vangelo che dobbiamo annunciare, non necessariamente in modo diretto perché quell’ “andate” di Gesù non è solo un verbo di movimento fisico ma indica anche l’aprirsi a nuove dimensioni di vita, ma particolarmente con la testimonianza e l’impegno della preghiera che è il respiro della nostra fede. Il nostro quotidiano è dunque la cattedrale dove ci incontriamo con il Risorto. Possiamo perciò riassumere che l’Ascensione non è la festa dell’addio ma la festa dell’invio. L’altro è il cielo dove trovo Gesù e io sono il cielo in cui l’altro deve vedere Gesù. Non lo devo cercare nei quartieri residenziali del cielo. Il suo indirizzo provvisorio porta i connotati di ciascuno di noi. E’ l’inquilino di quell’appartamento privatissimo che si chiama “persona umana”. E’ salito al cielo per nascondersi dappertutto sulla terra. Un po’ tutto un gioco per farci innamorare ancor di più di Lui. Oltre che a vivere con ascesi si deve vivere da “ascesi”, cioè orientati ad un destino più grande, con lo sguardo lassù ma con i piedi quaggiù, allacciando collegamenti tra cielo e terra. Per evitare il rischio di una identità cristiana bonsai.

L’Ascensione è la festa della promessa: “Io sono con voi tutti i giorni” (Mt 28,20). Possiamo prendere le distanze da quei versi di Quasimodo: “Ognuno sta solo sul cuor della terra”. Non è vero! Gesù azzera la collezione delle nostre paure. “Tutti i giorni”. Anche e soprattutto nei giorni segnati dalla sofferenza, dal vuoto, da quei dubbi su noi stessi che ci creano una realtà che poi quasi sempre non esiste. In ogni situazione ricordiamoci ogni volta di quel ”io sono con te tutti i giorni”. Queste parole sono il più potente ansiolitico, così come un cuore in disordine, non in pace con Dio è il più grande ansiogeno.


La Vergine Maria che ha accompagnato i primi passi della Chiesa nascente, accompagni anche noi, chiamati ad essere discepoli e a rendere discepoli gli uomini.

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