Per Gesù l’ultimo
appuntamento è sempre il penultimo: quello al monte, luogo dell’esperienza
divina, è rimasto il primo di una serie infinita di appuntamenti.
Quello sperone di monte
sembra una scogliera di naufraghi abbandonati. Ed è lì che Gesù ha dato
l’appuntamento agli undici. Ed è lì che Gesù prende, per
così dire, la doppia cittadinanza, quella del cielo e quella della terra. In
altre parole: si conclude il tempo del Gesù storico e sboccia quello della
Chiesa, fatta di uomini fragili e peccatori ma anche di tanti santi!
L’Ascensione, cioè Gesù
che va al cielo sotto gli occhi attoniti dei suoi discepoli, disorientati e spiazzati,
alcuni in adorazione altri nel dubbio, come ce la presenta gli Atti (prima
lettura), non è un finale da commedia all’americana, non è un episodio da
leggere come un reportage, non è un
fenomeno mediatico dai connotati paranormali. Al contrario: quello di Gesù è un
passaggio di consegne che illumina di concretezza il percorso della nostra
vita. L’Ascensione non è la festa della sua partenza ma della sua permanenza. Gesù,
nel Vangelo prima proclamato - pochi versetti di Matteo, un evangelista-teologo
- e che sprizza scintille di risurrezione, ci incarica di renderlo visibile
dappertutto, a cominciare da dove viviamo, che è il luogo in cui Dio ci chiama
a farci santi.
Le nostre 24 ore sono
la piazza di quel Vangelo che dobbiamo annunciare, non necessariamente in modo
diretto perché quell’ “andate” di Gesù non è solo un verbo di movimento fisico
ma indica anche l’aprirsi a nuove dimensioni di vita, ma particolarmente con la
testimonianza e l’impegno della preghiera che è il respiro della nostra fede. Il
nostro quotidiano è dunque la cattedrale dove ci incontriamo con il Risorto.
Possiamo perciò riassumere che l’Ascensione non è la festa dell’addio ma la
festa dell’invio. L’altro è il cielo dove trovo Gesù e io sono il cielo in cui
l’altro deve vedere Gesù. Non lo devo cercare nei quartieri residenziali del
cielo. Il suo indirizzo provvisorio porta i connotati di ciascuno di noi. E’
l’inquilino di quell’appartamento privatissimo che si chiama “persona umana”. E’
salito al cielo per nascondersi dappertutto sulla terra. Un po’ tutto un gioco
per farci innamorare ancor di più di Lui. Oltre che a vivere con ascesi si deve
vivere da “ascesi”, cioè orientati ad un destino più grande, con lo sguardo
lassù ma con i piedi quaggiù, allacciando collegamenti tra cielo e terra. Per
evitare il rischio di una identità cristiana bonsai.
L’Ascensione è la festa
della promessa: “Io sono con voi tutti i
giorni” (Mt 28,20). Possiamo prendere le distanze da quei versi di
Quasimodo: “Ognuno sta solo sul cuor
della terra”. Non è vero! Gesù azzera la collezione delle nostre paure. “Tutti i giorni”. Anche e soprattutto nei
giorni segnati dalla sofferenza, dal vuoto, da quei dubbi su noi stessi che ci
creano una realtà che poi quasi sempre non esiste. In ogni situazione
ricordiamoci ogni volta di quel ”io sono
con te tutti i giorni”. Queste parole sono il più potente ansiolitico, così
come un cuore in disordine, non in pace con Dio è il più grande ansiogeno.
La Vergine Maria che ha
accompagnato i primi passi della Chiesa nascente, accompagni anche noi,
chiamati ad essere discepoli e a rendere discepoli gli uomini.
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