La pagina del Vangelo appena proclamato e che possiamo definire come l’Annunciazione a Giuseppe, chiude con queste parole: “Giuseppe, destatosi dal sonno, fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore” (Mt 11,24). Esse possono introdurre e pilotare la nostra riflessione. Una frase lapidaria che contiene tutta l’adesione alla volontà di Dio, tutta la decisione di custodire nella sua vita, Gesù di cui è padre anche se non genitore, inserendolo nella genealogia davidica. Questo dovrebbe essere, come monaci, anche il nostro atteggiamento. Come non ricordare infatti il “nihil Christi carius” (RB 5,2)?...
Giuseppe ci insegna a vincere la tentazione della fuga, quando le cose non vanno bene in noi e attorno a noi, per vivere invece la sfida della presenza. Giuseppe ha guardato a Maria e a Gesù non come a degli ostacoli per la sua serenità ma come a un dono da custodire. Questo ci insegna a non arrenderci davanti alle difficoltà e ci ricorda che noi non abbiamo un navigatore satellitare che calcola e traccia il percorso della nostra vita ma abbiamo però a disposizione la fede che ci permette di camminare anche nella nebbia di alcune situazioni che forse (o almeno così ci sembra) ci fanno vedere poco chiaro o poco bene la strada che stiamo facendo. Grazie alla fede invece dovremmo avvertire, come Giuseppe, che la nostra mano è guidata da quella di Dio. Giuseppe, che accoglie dall’angelo la chiave di lettura di quanto succede a Maria e accantona l’escamotage programmato per togliere Maria da una situazione imbarazzante, ci insegna ad essere “disarmati” davanti a Dio, consegnandosi a Lui con fiducia totale e disponibilità fattiva. La fede di Giuseppe è di pura marca biblica, come quella di Abramo, padre dei credenti. Anche lui patriarca, ma “patriarca dei sogni”, intesi non come evasione dalla realtà ma come esperienza di saper decifrare il mistero anche in quei fatti che ci sembrano chiari e evidenti.
Il falegname di Nazaret, con la sua disarmante semplicità, è grande perché davvero grande è la sua fede. Credere, per lui è lasciar fare a Dio; non è solo desiderio di servire il Signore ma è anche disponibilità a lasciarsi sorprendere da Lui. Credere è giocare con Dio con l’ “audaciometro”: quanto più ci fidiamo e affidiamo a Dio, tanto più Dio si fida e si affida a noi. Credere senza riserve, senza ritardi, senza rimpianti. La fede “feriale” del giorno per giorno, del fare ogni giorno la volontà di Dio, genera i Santi. Questa è la santità: l’umiltà come Giuseppe, il suo silenzio, la sua perseveranza, la sua gratuità nel servizio.
Giuseppe fa credito a Dio. In una parola: obbedisce. L’obbedienza, sulla quale S. Benedetto ci regala un intero capitolo della Regola (il quinto), comporta anche percorrere la strada tracciata da Dio nel quale è la nostra pace, accompagnati sempre dal suo “non temere”. Al contrario, quando ci ripieghiamo su noi stessi per pensare, valutare con le sole nostre forze, restiamo ancorati a piccole-grandi paure.
Giuseppe accetta di essere dentro un disegno divino che lo coinvolge e lo supera. Ognuno di noi, direbbe Pascal, “è troppo grande per bastare a se stesso”. Per questo, impegniamoci ad azzerare quelle nostre resistenze che talvolta ci impediscono di rispondere con disponibilità al mistero della nostra vocazione monastica che può scombinare le nostre strade programmate per aprirci la corsia preferenziale dove Dio ci attende.
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