Questo filo quasi musicale inizia a dipanarsi già con gli splendidi versi dell Prima Lettura: “gioisci… esulta…rallegrati…”: sono come tre ondate successive e incalzanti dalle quali è bene farci sommergere. Questo filo della gioia continua a snodarsi nel Salmo Responsoriale: “cantate…gridate giulivi” e pervade anche il brano di S. Paolo con quel suo “rallegratevi”.
Il cristiano deve essere lo specchio della gioia che Dio riversa in lui in tanti modi, anche fantasiosi.
Se perdo la gioia, devo chiedermi prima seriamente se ho perso Cristo. Contro gli specialisti dello sconforto e i musoni in servizio permanente effettivo siamo chiamati a praticare il contagio della gioia. Chi cerca Dio trova sempre la gioia, mentre chi cerca la gioia non sempre trova Dio.
Certo, tra noi ci può essere qualcuno per il quale la parola “gioia” è una parola lontana annii-luce, e per tanti motivi. Nella Prima Lettura c’è una frase che sembra fatta apposta per lui: “Non temere, non lasciarti cadere le braccia” (Sof 3,16). Non arrendersi alla tristezza e allo sconforto. Reagire! Il rimedio migliore, l’anti-depressivo più efficace e meno pericoloso per la salute è proprio la speranza. Guradare in avanti. Credere che l’angoscia finirà, che il tunnel buio non sarà senza fine. Non c’è notte così lunga che non abbia il suo mattino. Credere che nel cuore dell’inverno c’è la primavera.
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