domenica 30 dicembre 2012

Prima Domenica dopo Natale - LA SANTA FAMIGLIA

Forse i due giovani e inesperti genitori - Maria e Giuseppe - non avrebbero superato l’esame di idoneità all’adozione di un figlio come oggi avviene! Infatti, smarriscono il bambino, ormai dodicenne, affidato alla loro cura… Possiamo immaginare il loro spavento, il loro affanno, la loro apprensione nel non ritrovare più il figlio. Infine c’è l’abbraccio con questo figlio dodicenne che a Gerusalemme si mostra per quello che è: la nuova legge.

La famiglia di Nazareth: nel presentarla c’è sempre il rischio di fare un ritratto zuccheroso. E invece quella famiglia ha avuto anch’essa un percorso difficile da compiere, non privo di sofferenza. Il belle
che a creare le difficoltà era proprio Gesù. Ad esempio, il suo arrivo annunciato, prima ancora della sua nascita, ha messo in crisi la relazione tra Maria e Giuseppe.

Gesù, un figlio che involontariamente ha fatto star male i suoi genitori come vediamo nel vangelo di oggi che smentisce la facile immagine oleografica che ci siamo fatti della Santa Famiglia. E’ evidente il tono accorato di Maria: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati ti cercavamo”. Sotto questo aspetto, Maria e Giuseppe sono vicinissimi ai tanti genitori di oggi in difficoltà davanti ai propri figli e al loro futuro.

Un figlio è portatore di mistero che lo supera. Si porta incorporato un sogno di Dio. Nessuno si sceglie i figli, nessuno si sceglie i genitori. Proprio per questo esistono in famiglia dei passaggi dolorosi che possono essere superati solo dall’amore, dalla comprensione, dalla pazienza.

Dal dialogo: dialogo, non solo in famiglia, è far viaggiare le parole nel luogo dove si abita. Perché quando le cose sono difficili, non parlandone diventano ancor più difficili. Bisogna cercare sempre
di capire, di capire, e ancora di capire. Perché una spiegazione c’è sempre, per qualsiasi gesto, e forse questa spiegazione è molto più bella o più semplice di quello che si pensa.

Naturalmente, questo vale anche per ogni gruppo di persone che alla famiglia si ispirano e si modellano come una comunità monastica di stampo benedettino. Vivere in famiglia non è semplice anche se ci si vuole molto bene e forse proprio perché ci si vuole molto bene. Ci sono dei “perché” che emergono di tanto in tanto. E spesso restano senza risposta, oppure c’è una risposta che suona incomprensibile, come quella data da Gesù ai suoi genitori: “Perché mi cercavate?”

Le difficoltà e le sofferenze nella vita, arrivano prima o poi a tutti.
Ma non vengono per distruggerci ma per irrobustirci così da renderci capaci di portare ciò che pesa perché vale. Le difficoltà e le sofferenze non sono per stroncarci ma per farci spuntare le ali.
Questo succede anche ad una pianta: per crescere, non gli occorre solo il tepore della primavera o il calore dell’estate ma anche il freddo dell’inverno.

mercoledì 26 dicembre 2012

FESTA DI SANTO STEFANO

Ieri, gli angeli, la mangiatoia, un bambino: il natale. E, oggi, quasi un dirottamento. Siamo un po’ destabilizzati dalla celebrazione di un martirio dopo le gioiose ore appena trascorse.

I riflettori della liturgia sembrano aver dimenticato il Protagonista e slittato su Stefano, il primo martire. In realtà non è così, perché Gesù è nello spirito, nel cuore, nei pensieri del suo discepolo. Stefano fotocopia nella sua vita quella di Cristo: nella predicazione, nel processo subito, nella morte violenta. Stesso itinerario, stesso destino.

Attraverso il volto del protomartire, intravvediamo come in dissolvenza, i volti innumerevoli di tutti quelli che hanno pagato con la vita la loro fedeltà a Cristo o anche, semplicemente, soffrono per l’ingiustizia. Quanti “Stefano” in varie parti del mondo.  E, c’è un particolare che fa riflettere anche se non è da assolutizzare. Guardiamo in faccia i lapidatori di Stefano: non sono dei teppisti con il marchio di fabbrica della delinquenza. No! Sono uomini d’ordine, difensori delle leggi e della religione (però intesa a modo loro!).

Stefano, lo abbiamo ascoltato, “fissando il cielo, vide la gloria di Dio e Gesù” (At 7,56). E poche righe sopra, nel capitolo precedente, si riporta che il volto di Stefano era “come quello di un angelo” (At 6,15). I testimoni sono sempre luminosi. I loro occhi brillano perché hanno una febbre costante: quella di raccontare con la vita chi è Gesù. Non assomigliano a noi che quando parliamo di Gesù, lo facciamo senza emozioni e trasalimenti.

Sono le prove che la vita ci riserva che rivelano quanto siamo testimoni di Cristo. Gli inevitabili ostacoli sono esattamente ciò di cui abbiamo bisogno. Dio ci aiuta ma non sempre come desideriamo noi.

Un mistico contemporaneo ha detto di sé: “Chiesi la forza e Dio mi ha dato difficoltà per farmi forte. Chiesi la sapienza e Dio mi ha dato problemi da risolvere. Chiesi favori e Dio mi ha dato intelligenza, forza e opportunità. Non ho ricevuto niente di quello che chiesi, ma ho sempre ricevuto tutto quello di cui avevo bisogno…”

martedì 25 dicembre 2012

S. NATALE

Vangelo immenso che ci impedisce piccoli pensieri, onda immensa che viene a infrangersi sulle nostre piccole vite. Vangelo da leggere in ginocchio. Parole da sillabare piano piano. Occorre allacciare le cinture di sicurezza perché quei 18 versetti dell’evangelista Giovanni fanno volare alto e declinano litanie di luce e di vita.

Questa notte il Vangelo ci ha sgranato, una dopo l’altra, le immagini della nascita del Redentore. Gesù, facendosi uno della nostra razza, fa di ogni corpo umano una finestra di cielo. Dentro il battito umile e testardo del nostro cuore batte un altro cuore, e non si spegnerà più.

Gesù che nasce non è il solo ad essere in una mangiatoia. Molti tra noi vivono in mangiatoie di tristezza e scontentezza, piallati da stress di ansie e nella nebbia di dubbi su se stessi. Quel Bambino, che è Dio, non si impone ma si propone. Si offre e soffre per noi. Ci ruba il cuore e non chiede altro che essere ospitato nella nostra vita: con Lui tutto cambia. Con Lui, l’ultima parola non tocca ad una crisi che possiamo avere ma ad un nuovo slancio per riprendere il cammino. Animati dal plus-valore della fede. Qualcuno ha scritto: “La paura bussò alla porta, la fede andò ad aprire: non c’era nessuno!” Da quel Bambino riceviamo la capacità di vedere noi stessi per quello che siamo e Lui azzera i nostri sensi colpa e le nostre paure dai tanti nomi. Ci fa capire che ciascuno di noi è unico e irripetibile. Che non importanza la tua età o la tua cultura, non ha importanza che cosa sei stato, le cose che hai fatto o non fatto, le maschere che ti sei messo, gli errori che hai commesso, le persone che hai ferito. Lascia perdere, è passato. Per Dio tu appartieni al presente, da vivere in linea con il Vangelo. Tu sei tu e questo è tutto quello che devi essere.

In questi giorni avremo modo di fissare lo sguardo sui bambini Gesù nella mangiatoia dei presepi. Il suo volto ci richiama tutti i volti che l’umanità assume, compreso il nostro. Il volto di Dio rimane sul volto dell’uomo per sempre da quella notte di Betlemme.

Natale: Dio allo specchio.

Dio ha preso il volto di un bambino nato più di 2000 anni fa in una culla di emergenza alla periferia dell’impero romano.

Oggi prende il tuo volto… ma anche il volto di ogni essere umano.

Dio prende il volto di chi ami e anche il volto di chi ti sta antipatico.

Ha il volto di chi ti ha fatto un torto e anche di colui a cui tu lo hai fatto.

Ha il volto di persone che la nostra indifferenza non nota. A volte essi sono un piccolo-grande presepe che ci accompagna tutto l’anno e noi non ce ne accorgiamo… Ci sono delle lacrime che non arrivano agli occhi ma si fermano al cuore: le dovremmo saper vedere.

Dio ha il tuo volto. E sul tuo volto, che è anche il suo, non vuole sguardi di odio. Non vuole giudizi trinciati dalla malizia e dalla cattiveria. Non vuole che i tuoi-suoi occhi siano distratti verso chi ci tende una mano per un piccolo segno di amore. Le nostre ferite interiori, spirituali, psicologiche, affettive, si rimarginano nella misura in cui curiamo quelle altrui. Amare senza voler troppo capire, senza farsi troppe domande, senza paura di esagerare… L’amore è sempre in ritardo sulla sua fame di abbracci. Il più felice dei felici è chi fa felici gli altri e così si prenota il Paradiso.

Con il tuo volto Dio vuole sorridere, perdonare, consolare, amare…
Dio si è fatto come te. E tu hai il volto di Dio.

lunedì 24 dicembre 2012

S. NATALE (notte)

Dio ama la notte, testimone della sua nascita (è un figlio della notte!) come della sua risurrezione. E’ di notte che si è più veri, più liberi, più autentici. E’ di notte che si dicono le parole più belle. Dio non è sfuggito a questa regola non scritta e, più di 2000 anni fa, in una notte fasciata di profondo silenzio, è evaso dal cielo per farsi ancor più vicino a noi. Il sogno dei Profeti che attraversa tutto l’AT è finalmente diventato realtà. L’eterno, quasi in punta di piedi, prende casa nel tempo. E così il nostro piccolo pianeta terra che ruota negli spazi immensi di miliardi di anni-luce ha ricevuto una dignità incredibile: il Figlio di Dio è sceso su di esso… si è fatto “terrestre”. Viene tra noi usando una porta secondaria, quella di una stalla. Non nasce da due vip ma dalla piccola Maria con accanto il falegname Giuseppe, suo padre solo legale. Quella di Natale è la più antica notte “bianca” della storia!

Gesù non sceglie di nascere in una reggia bella e lucente ma in una stalla. Quindi, possiamo essere sicuri che nasce anche nei nostri cuori che sono forse poco accoglienti, disordinati e magari un po’ sporchi. Nasce sulla paglia delle nostre fragilità e miserie. Questo ci è di conforto e di coraggio.

Mentre i nostri cellulari si infittiscono di sms di auguri, la posta elettronica dei nostri computer fatica a scaricare tanti messaggi, mentre intrecciamo le mani di chi  incontriamo scambiando gli auguri, mentre ci troviamo nell’ineguagliabile contesto artistico di questa chiesa abbaziale, mentre con l’aiuto del canto gregoriano siamo immersi nel vivo di una liturgia solenne, io vorrei essere un angioletto per andare a vedere la festa che fanno in cielo, ma penso che non troverei nessuno, perché sono tutti qui, con noi, intorno al presepio. Nel quale noi dobbiamo entrare con i passi del cuore per incontrare i due occhi medio-orientali di un bambino senza audience che ci tiene per mano fin dal suo primo respiro. Lasciamoci scomodare da quegli occhi. Sono due occhi pieni di luce che vogliono incrociare i nostri per resettare certi interrogativi che ci lacerano la mente e il cuore, per liquidare certi tormenti e nodi esistenziali che spesso ci pesano dentro come macigni, per sciogliere certe croniche inquietudini. Fidiamoci di Lui. Ricordiamoci che Dio fa più di quanto aspetti quando meno te lo aspetti…

L’annuncio dell’angelo è chiaro: smettete di avere paura. La paura è il più brutto regalo che uno può fare a se stesso. Quel Bambino che è Dio ci vuole pacificare dentro, tonificare il cuore, farci respirare alla grande. Grazie a quel Bambino, stanotte siamo autorizzati ad aprire finestre di cielo nella nostra vita. Altrimenti le nostre giornate sono una serie infinita di spruzzatine di vaporoso niente!

Gli angeli infatti non cantano una canzone qualsiasi ma quelle parole che tutti - sì, proprio tutti! - abbiamo bisogno di sentirci dire: “Dio ti ama”. Qui, adesso, come sei.
Buon Natale a tutti!

lunedì 17 dicembre 2012

NOVENA DI NATALE (Apertura)

Con il presepio nella mente e nel cuore.

Stasera iniziamo il conto alla rovescia. Per nove giorni, in parte mediante le cosiddette “Antifone O”, saremo accompagnati da una vera e propria antologia biblica. Sette antifone, introdotte da una “O” di stupore, ricche di riferimenti messianici, per sottolineare altrettanti titoli cristologici. Sette inquadrature dell’Emanuele: pregandole, ci aiuteranno ad entrare nel cuore del Natale.

Come un arcobaleno che attraversa il cielo della storia umana per intrecciarsi con il “nunc” di Dio è quella galleria di ritratti trasmessaci da Matteo. Ogni nome, un tassello del grande mosaico della Storia della Salvezza. Un lungo e arido schedario anagrafico, costruito con simmetria matematica: tre serie di nomi, ognuna con quattordici generazioni. Non è solo esattezza cronologica ma una perfezione teologica. Perché? Perché la monotonia litania di personaggi biblici, pensata con la perfezione di un orologio, sussurra sempre più forte un nome: l’Emmanuele, il Dio-con-noi. Egli è l’estuario dolcissimo e benedetto in cui finisce il fiotto di vita, la catena delle generazioni, un lento zig-zag che intreccia miserie e grandezze, ombre e luci e che si rompe all’ultimo anello: giunto al nome di Giuseppe, Matteo abbandona lo schema costante e quasi ossessionante dell’albero genealogico: “X generò Y” per dire che “Giuseppe era lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù” (Mt 1,16). Gesù: nel suo DNA umano c’è un concentrato di storia non priva di fragilità e di colpe.

In quella cascata di nomi ci sono anche i nostri. Sarebbe interessante infatti scoprire con quali di essi possiamo almeno in parte identificarci.  Hanno, a modo loro, preparato l’arrivo di Gesù. Anche noi sentiamoci impegnati a trasformare le ore di questi giorni di novena in materiale di costruzione spirituale per farne una grotta, una mangiatoia, un cuscino che sappia accogliere la carne del Verbo. Sto pensando in questo momento a quel dettaglio del famoso affresco di Michelangelo - la Creazione di Adamo - in cui Dio tocca con il dito la mano di Adamo.  In fondo, a Natale succede questo.

domenica 16 dicembre 2012

TERZA DOMENICA DI AVVENTO (C)

Dimmi quanto e come sorridi e ti dirò che fede hai. E’ il test che viene proposto a ciascuno di noi dalla Parola di Dio di questa IIIa Domenica di Avvento che è un grande invito alla gioia.

Questo filo quasi musicale inizia a dipanarsi già con gli splendidi versi dell Prima Lettura: “gioisci… esulta…rallegrati…”: sono come tre ondate successive e incalzanti dalle quali è bene farci sommergere. Questo filo della gioia continua a snodarsi nel Salmo Responsoriale: “cantate…gridate giulivi” e pervade anche il brano di S. Paolo con quel suo “rallegratevi”.

Il cristiano deve essere lo specchio della gioia che Dio riversa in lui in tanti modi, anche fantasiosi.

Se perdo la gioia, devo chiedermi prima seriamente se ho perso Cristo. Contro gli specialisti dello sconforto e i musoni in servizio permanente effettivo siamo chiamati a praticare il contagio della gioia. Chi cerca  Dio trova sempre la gioia, mentre chi cerca la gioia non sempre trova Dio.
Certo, tra noi ci può essere qualcuno per il quale la parola “gioia” è una parola lontana annii-luce, e per tanti motivi. Nella Prima Lettura c’è una frase che sembra fatta apposta per lui: “Non temere, non lasciarti cadere le braccia” (Sof 3,16).  Non arrendersi alla tristezza e allo sconforto. Reagire! Il rimedio migliore, l’anti-depressivo più efficace e meno pericoloso per la salute è proprio la speranza. Guradare in avanti. Credere che l’angoscia finirà, che il tunnel buio non sarà senza fine. Non c’è notte così lunga che non abbia il suo mattino. Credere che nel cuore dell’inverno c’è la primavera.

martedì 11 dicembre 2012

Secondo anniversario mensile dell’apertura dell’anno della fede.

Diciamocelo subito. Non è normale che un pastore di cento pecore, ne lasci novantanove “sui monti” (Mt 18,12) per andare a cercare una sola pecora che si è smarrita! Rischia, al ritorno, di trovare che altre si sono perdute. Ma Gesù è un pastore eccezionale: per Lui una pecora su cento non equivale ad un centesimo del gregge, ma conta tanto quanto le altre novantanove messe insieme. Per Lui quella pecora è unica ed irripetibile, fa parte della sua vita. Si premura di trovare la pecora perduta semplicemente perché si è perduta: questa è la logica di Dio.

Il suo amore, non calcola le volte che ci perdona, i tempi di attesa che ha vissuto mentre noi, in diversi modi, ci siamo allontanati da Lui. Ci cerca. Non per rimproverarci ma per abbracciarci.
L
a domanda che Gesù pone ai suoi ascoltatori è rivolta anche a ciascuno di noi per irrobustire la nostra fede: “Che vi pare?” (Mt 18,12). Siamo invitati a commisurare il nostro cuore sulla Sua tenerezza… non escludendo nessuno dal nostro amore anzi, cercando e accogliendo quelli che possono aver sbagliato, magari anche pesantemente, nei nostri confronti. Ed è così che la fede diventa vita.

sabato 8 dicembre 2012

SOLENNITA’ DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE

Il coraggio di dire: “ci sto”. Tutto ruota intorno a quel piccolo e semplice monosillabo, leggero come un soffio, pronunciato da Maria: “”. Maria arriva al suo “eccomi…”, venato di entusiasmo, attraversando sentimenti ed emozioni contrastanti che sono anche i nostri quando ci troviamo davanti a qualcosa che Dio ci chiede. Maria ci è così vicina in quei momenti  che il “rallegrati” rivolto a lei dall’Angelo lo sentiamo anche noi all’orecchio… e dall’orecchio scende nel cuore e ci da uno scatto di coraggio. Se ci si fida più di Dio che di noi stessi allora anche l’apparente impossibile diventa possibile. Maria ci insegna a gettare il cuore oltre gli ostacoli, a prestare la nostra vita, anche se la pensiamo piccola, inutile e difettosa, ai sogni di Dio.

Possiamo pensare che, in un certo senso, quel “”, senza “se” e senza “ma” di Maria sia stato una specie di Professione. Chissà se Maria ha festeggiato gli anniversari del suo “eccomi”? Se lo ha fatto, non lo ha fatto pensando agli anni della sua vita passati da quel momento, ma guardando gli anni di Gesù, gli anni di presenza dell’Emmanuele, del Dio-con-noi che ci chiama e ci dona di stare con Lui. Maria non diceva: oggi compio 25 anni di Annunciazione, ma: “oggi sono 25 anni che Gesù è con me, che è entrato nella mia vita e che io vivo tutta per Lui!”. E penso che è così che anche noi monaci dobbiamo contare e celebrare gli anni della nostra Professione e voi Oblati quella della vostra Oblazione.

Maria si mette nelle mani di Dio. Ci insegna che la vita, che è il gioco più appassionante, non è un capitale da investire secondo i propri progetti, ma un dono da mettere a disposizione di Dio perché Egli ne disponga come vuole. Lasciandoci plasmare e riplasmare dalla sua mano. La Madonna ha compreso una cosa fondamentale: Dio non ti chiama per realizzare quello che hai in testa tu. Ti chiama perché vuole altro da te.

Ed è questa l’obbedienza della fede: fare la volontà di Dio, con semplicità e con umiltà. E più si sta con le mani vuote davanti a Dio, più Lui pensa a riempirle.

Non temere”, dice l’Angelo a Maria e a ciascuno di noi. Il Signore viene a riempire la tua vita, ti chiede la tua disponibilità perché vuole regalarti la gioia di fare il bene insieme a Lui.

Non temere di ricominciare da capo: tu non sei i tuoi errori e, se ne chiedi perdono a Dio, sei più grande del tuo esame di coscienza.

Non temere di donarti con il tuo “eccomi”, limpido e senza riserve, prendendo come navigatore della tua vita la Parola di Dio.

Non temere quello che ti sembra “impossibile”che Dio ti chieda: se c’è Lui di mezzo, l’impossibile diventa la sola strada possibile.

Adesso esprimiamo un supplemento di amore a Maria, perché lei che la “ianua coeli” - la porta del cielo - come la invochiamo in una litania, ci aiuti ad offrire la nostra vita come porta d’ingresso di Dio nel nostro piccolo mondo quotidiano.

domenica 2 dicembre 2012

1a DOMENICA DI AVVENTO (C)

 “Avvento” è una parola la cui radice latina significa: “venire accanto, farsi vicino”. E’ il tempo in cui tutto si fa più vicino: Dio all’uomo, l’altro (se c’è) a me, io al mio cuore. E’ un tempo in cui si accorciano le distanze.

Questa stagione liturgica che ci prepara al Natale, ci consegna delle istruzioni-per-l’uso. Cioè, guardare verso Colui (il Cristo) che sta per venire, guardare dentro noi stessi e guardare accanto a noi. Non è facile questo atteggiamento di paziente attesa per noi che viviamo nella società della fretta e della cultura “qui e ora”. Con questo sguardo strabico finiamo per non focalizzare ciò che conta. Anche Dio.

Per la mezzanotte del 25 dicembre abbiamo un appuntamento con Dio, ma anche con noi stessi. Attendere la riattualizzazione della nascita di Gesù (non come un semplice ricordo storico di un fatto avvenuto più di 2000 anni fa), comporta che ognuno di noi sia un grembo di nascite, impegnato a generare il suo futuro personale com’è nei sogni di Dio. Scintille di luce scalciano dentro di noi chiedendo di nascere. Le quattro settimane di Avvento ci servono anche per questo.

In mezzo alle cose che ci accadono continuamente, in mezzo a errori e splendori, necessità e paure, Gesù ci invita a restare svegli, cioè ad evitare il sonno del cuore che ci spegne la gioia e l’emozione di vivere. Questo sonno del cuore è infido, sgusciante, impalpabile. E’ come un’anestesia velenosa. Il cuore avvolto da questo sonno lo si riconosce subito perché perde il senso della gratuità e della gratitudine. Ci sciupa la vita che è un dono di Dio con ricevuta di ritorno.

“Attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano”(Lc 21,34). Attenti a che cosa? Ancora a lui, al cuore perché torni leggero, come quello di un bambino. Il cuore si appesantisce certo con il peccato dai mille nomi ma anche con quelli che Gesù definisce “gli affanni della vita”(Lc 21,34). Le difficoltà ci sono sempre, ma Dio anche, e perciò siamo sempre in vantaggio. Non importa quanto freddo sia l’inverno in cui ci troviamo, dopo c’è sempre la primavera.

Resta sveglio, ripete Gesù. Non addormentare il tuo amore per Dio.  E Gesù ci svela anche il segreto: “pregate senza stancarvi” (Lc 21,36). Cioè legare a Lui, con la preghiera, con un tete à tete nell’adorazione eucaristia, la soluzione di ogni storia al negativo, problema, tensione, inquietudine. Situazione per situazione, momento per momento.

Se non prego il cuore si addormenta.

Se non ho fiducia in me stesso, se mi macero in rimpianti, frustrazioni e delusioni, il cuore si addormenta.

Se non mi spendo per gli altri, il cuore si addormenta.   

Se coltivo rabbia, risentimenti assortiti, mutismi infondati, il cuore si addormenta.

Se navigo nell’invidia che rode e nella tristezza cronica, il cuore si addormenta.

Se non attendo Dio che sta per bussare alla porta del mondo, il cuore si addormenta.

E un cuore addormentato non è un cuore addormentato, è un cuore  che non c’è più.

sabato 1 dicembre 2012

Primi Vespri della Prima Domenica di Avvento

La liturgia della Chiesa computa il tempo non secondo i mesi, ma secondo i misteri della vita di Gesù. Diamo inizio al terzo anno del ciclo triennale denominato “anno C”, in compagnia con l’evangelista Luca, il famoso scriba mansuetudinis Christi. Il suo vangelo si distingue da quello degli altri detti sinottici e da quello giovanneo. A motivo di alcune celebri parabole è detto il vangelo della misericordia, anzi essa è il filo rosso che lo attraversa tutto; il vangelo dei poveri perché esprime una spiccata sensibilità ai temi sociali nella predicazione di Gesù; il vangelo della preghiera per l’attenzione posta su Gesù orante e in comunione con il Padre. Con questo tutor così speciale ripartiamo dalla “A” di Avvento che non è funzionale solo al Natale ma ci illumina sulla venuta quotidiana di Gesù.  

L’Avvento si propone a noi come un itinerario educativo alla fede, è una scuola per imparare a guardare oltre i nostri piccoli orizzonti ed assumere la prospettiva escatologica come, tra l’altro, ricorda anche S. Benedetto ad ogni monaco: “Tu dunque che ti affretti verso la patria celeste” (RB 73,8). Perciò possiamo dire che il monaco è l’uomo dell’Avvento! L’Avvento non va solo celebrato ma soprattutto vissuto.

Questo tempo forte dello spirito contiene un richiamo profondo ad assumere personalmente e comunitariamente alcuni atteggiamenti: l’attesa vigilante e gioiosa, la speranza fiduciosa e paziente, la capacità di cogliere la presenza e il passaggio del Signore nelle nostre 24 ore, la conversione. Guardando a quest’ultimo impegno, non possiamo abbinarlo al “tutto e subito”. Non ci si converte una volta per tutte, ma ci si converte ogni giorno. Antonio il Grande così si esprimeva: “Ogni mattina dico a me stesso: oggi comincio”. S. Benedetto, nella Regola, ci ricorda che il tempo che Dio mette a nostra disposizione è una dilazione - “ad inducias” – “ci sono prolungati i giorni di questa vita” (RB, Prol. 36).

C’è un’antifona che esprime molto bene questo aspetto così monastico dell’attesa vigilante e insieme dinamica: quella del communio della terza domenica di Avvento. E’ formata da due versetti del Profeta Baruc: “Sorgi, o Gerusalemme, e sta in piedi sull’altura”(3,5a) e: “osserva la gioia che ti viene da Dio” (4,36b). In quell’imperativo: “sta in piedi sull’altura”, possiamo leggere un’esortazione ad essere fermi e perseveranti, a volare alto quando sopraggiungono lo scoraggiamento, le delusioni, o quando difficoltà personali o comunitarie ci lasciano un po’ incerti.  Il monaco “sta in piedi” e non si lascia paralizzare dal possibile negativo.

Maria che ha offerto se stessa come pista d’atterraggio nel tempo all’Altissimo e che da volto all’Avvento come Vergine in ascolto e in attesa, ci aiuti ad essere in questi giorni come delle sentinelle del mattino che scrutano con gioia l’arrivo del Salvatore.
Auguriamoci a vicenda che l’Avvento fecondi la nostra vita per sbocciare a Natale in una festa di luce.