Sappiamo che ogni volta che una nuova chiesa viene dedicata, il primo gesto del rito previsto è l’aspersione con l’acqua lustrale. Così pure, ogni volta che noi entriamo in chiesa il primo gesto che compiamo è quello di segnarci, dopo aver immerso la mano nell’acquasantiera. Certo, è anzitutto un modo per segnare un passaggio da un luogo profano a quello sacro, ma, ancor più profondamente, un modo per ricordare il proprio battesimo quale inizio di un cammino di conversione per noi rafforzato anche dalla professione monastica.
Vogliamo riscoprire la bellezza della comunione con Cristo e rinnovare l’impegno personale e comunitario di tenerci legati a Lui, come pietre vive che, l’una con l’altra, poggiano sulla pietra di fondazione, togliendo con il mezzo della carità fraterna - e alla carità tutto è permesso - ciò che impedisce di aderire: come fa il muratore che pulisce le pietre prima di stendervi la malta e accostarle le une alle altre, perché diventino una sola cosa. Il confratello è tempio di Dio, e lo si profana quando prevale la sterile legge dell’egoismo e dell’interesse personale, al contrario, lo si onora con la gratuità, l’altruismo, il dialogo, il perdono. Lasciamoci anche noi raggiungere dalle cordicelle usate da Gesù verso i mercanti del tempio, perché porti un po’ di ordine nel nostro cuore, liberandolo da certe presenze.
L’eucarestia che stiamo celebrando ci mette in comunione con il tempio vero e vivo del Signore: il suo corpo crocifisso e risorto. Gesù sa bene quello che c’è in ognuno di noi, ma conosce pure il nostro desiderio: quello di essere abitati da Lui.
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