domenica 11 novembre 2012

32ma DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (B)

Quando il “molto” è poco e il “poco” è molto …

L’amore si può quantificare in un solo avverbio: tutto. Non si da nulla finché non si da tutto. Ciò che non diamo lo perdiamo. Dio quando prende le nostre misure mette il metro intorno al nostro cuore. E’ esso la vera bilancia di Dio. E’ lì che avviene la verifica se da cristiani credenti siamo passati a cristiani credibili. Noi possiamo o “giocare con la fede” o “giocarci nella fede”.

Gesù  oggi ci mette alla scuola di una povera vedova, la fa salire in cattedra e da lì ci impartisce una straordinaria lezione di fede. Le vedove, ai tempi di Gesù, erano collocate al fondo della classe sociale e ai margini della vita civile.

Nel tempio, Gesù, osserva il susseguirsi di alcune scene disgustose che sfiorano il ridicolo da parte di molte persone che con voluta  e autoreferenziale ostentazione, farcita di orgoglio, gettano nelle cassette (in genere erano tredici specie di ceste a forma di tromba) diverse manciate di grosse monete, richiamando così, con il rumore sonante, l’attenzione estasiata dei presenti e assicurandosi una sciocca pubblicità. “… osservava come la folla vi gettava monete”(Gv 12,41). Notiamo il particolare: osservava “come”, non “quanto” la gente offriva. Gesù rileva qualcosa di dissonante. Possiamo paragonarlo al maestro d’orchestra che appena nota uno strumento fuori tono o non a ritmo con lo spartito, ferma tutti perché qualcosa non va.

A questo punto dell’episodio si inserisce, umile e furtiva, la semplice e commovente figura di una povera vedova che, dopo aver sussurrato a se stessa l’ammontare irrisorio che sta nelle sue mani - due monetine - le getta nella cassetta andando ad urtare leggermente le monete dei ricchi. Le getta con quelle sue mani di povera donna sola, certamente sciupate dalla fatica del sopravvivere. Due monetine: un niente che per lei è il tutto. Tutto quello che ha. Poteva almeno tenersi una monetina e offrire l’altra. Rischia di fare la fame, di bruciare il suo domani. Invece dona tutto. Ricalca il generoso atteggiamento della vedova dove si ferma Elia, come ci ha riportato la prima Lettura. La santità è fatta anche da piccoli gesti pieni di cuore.

Non vuole fare a metà con Dio. Il ricco invece fa l’elemosina di ciò che ha in più, del superfluo: i suoi averi li mantiene intatti. La vedova invece dona della sua povertà, di ciò che le è necessario per andare avanti. “Tutto quello che aveva per vivere” (Mc 12,44). ,La traduzione strettamente letterale è molto più forte e significativa suona: “Tutta la sua vita”. Dona a Dio ciò che dio le ha donato: la vita. Da a Dio quel che è di Dio.
Preferisce la provvidenza alla previdenza. Due monetine, le sue, che hanno i bagliori di diamanti perché dentro c’è tutto il suo cuore. Sono preziose come una pagina di vangelo vivo. Il suo gesto, colmo di una tenerezza infinita è avvolto dal silenzio, e il silenzio non si sente ma agisce, come tutti quei gesti di amore che facciamo senza i riflettori accesi. Quella della vedova è una mini-liturgia di speranza e di fiducia che provoca Dio: io ho pensato a Te, ora tocca a Te Signore pensare a me. Ti faccio più importante della mia stessa vita. Lei è convinta che dare a Dio significa ricevere ancor di più. E questa è autentica fede, che è fiducia totale in Dio o non è fede. Chi dona tutto non si deve poi stupire di ricevere tutto.

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