La nostra vita è un cammino esodale, siamo come mendicanti permanenti in attesa di raggiungere la meta. La tristezza o la paura della morte sono illuminate dalla certezza che in Dio c’è vita eterna. “Mortem cotidie… Avere ogni giorno presente la morte” (RB 4, 47) ci ammonisce la Regola. La morte fa parte della vita nel senso che, come comunemente si dice, “siamo nati per morire”, ma per i cristiani la morte è la porta che immette nella vita per sempre. La morte è la scintilla della vita per sempre. Non si vive più per vivere di più! Abbiamo più futuro che passato e presente. Possiamo dire che in realtà non si muore ma si nasce due volte. Il cristiano non è un essere mortale ma un essere “natale”, cioè che esiste per nascere continuamente.
La nostra serenità di fronte alla morte si fonda sulla Risurrezione di Cristo e, alla luce del mistero pasquale, mi sembra che noi cristiani possiamo sentirci autorizzati a parlare dello splendore della morte. Splendore e morte, sembra che ci sia una contraddizione ad accostarli. Il primo termine, splendore, richiama luce, vita e gioia; il secondo, morte, richiama sofferenza e buio. Eppure la morte e la risurrezione di Cristo rendono possibile tale combinazione: lo splendore della morte! Ma che bello vedere la morte così!
Per questo, in tutto ciò che facciamo, nelle nostre scelte mettiamo quel briciolo di lievito di eternità che ci fa guardare oltre.
Mettiamo tutta la nostra vita nelle mani di Maria, perché, come una corona del rosario, possa attraverso di Lei scorrere momento per momento, giorno dopo giorno, “nunc et in hora mortis nostrae -adesso e nell’ora della nostra morte”, fino a quell’attimo decisivo in cui noi, terminato il pellegrinaggio della fede, saremo accolti dall’abbraccio inesprimibile di Dio.
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