Gesù dice al discepolo: “Ecco tua madre”. Ma la traduzione esatta sarebbe: “Guarda: è tua madre!”. Come a dire: guarda a Maria, lasciati educare da lei, dai suoi gesti, dalle sue parole, dai suoi silenzi. Prolunga la sua presenza.
“Ecco tuo figlio”: sono tre parole, ma contengono ciascuno di noi, non solo Giovanni. “Madre” e “figlio” sono due parole di vita. Mi sembra che, con esse, ci venga indicata la vocazione ad essere datori (“madre”) e portatori (figlio) di vita attraverso le due dimensioni della “maternità” e dell’accoglienza.
La presenza di Maria sotto la croce non è solo un appello alle nostre emozioni ma anche l’immagine-guida per i giorni in cui la croce intercetta la nostra vita o quella di chi vive con noi, per evitare la tentazione, comprensibilissima, di preferire la circonvallazione del Calvario, nodo di amore e di dolore.
La nostra attenzione più che sul dolore di Maria si deve fermare sul dolore del mondo le cui schegge arrivano anche in mezzo a noi, nella nostra comunità. Magari non ce ne accorgiamo, ma ci sono. “Stabat”: siamo chiamati a stare accanto a infinite croci di tutte le dimensioni. E’ come se ci venisse detto: prenditi cura della vita d’altri, anche se tu stesso stai male, anzi soprattutto quando stai male, e guarirai. Illumina altri e ti illuminerai, consola altri e sarai consolato, accogli, perché le mani di chi accoglie terminano in ali d’angeli; accogli, e nelle braccia di chi accoglierai troverai le braccia stesse di Dio ad accogliere te.
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