Chi è dunque il più grande? Per rendere più espressiva la sua catechesi, Gesù accompagna le parole con un gesto destabilizzante e disarmante: prende un bambino, lo mette al centro e poi lo abbraccia. Una fotografia di sicuro effetto quella che scatta l’evangelista Marco. Ma perché proprio un bambino? Sappiamo che ai tempi di Gesù non contava nulla, era l’ultimo di tutti. Perciò Gesù ne fa l’immagine del vero discepolo e quindi copia conforme all’originale, il Maestro, il quale “pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò e umiliò se stesso”(Fil 2, 6-11). Letteralmente potremmo dire: oscurò e azzerò se stesso. Ma ci sono certo anche altri motivi nella scelta di un bambino: perché esso non ha e non fa calcoli, non ha pretese da accampare, posizioni da conservare, privilegi da mantenere. Vive l’istante, riceve fiducioso ciò che gli viene dato. Si affida. Ha bisogno. Egli è anche l‘mmagine di chi è sempre abitato dal senso della meraviglia, della sorpresa. Uno diventa anziano non quando ha 70-80 anni, neppure quando perde la memoria, ma il giorno in cui la capacità di stupirsi, quando non si accorge più della bellezza che è intorno a lui e che è l’impronta digitale di Dio sulla terra.
Ma, agli occhi di Dio, è grande non solo chi occupa l’ultimo posto ma anche chi fa grande il suo cuore quando accoglie coloro che sono stati resi “piccoli” da tante sofferenze, fragilizzati dalle prove della vita. Noi siamo grandi e importanti se frequentiamo queste persone. In loro c’è Cristo e, in Cristo, il Padre.
Le braccia allargate di Gesù esprimono molto bene quanto deve essere ampia la nostra capacità di donare e donarci, superando pregiudizi. Non si abbraccia uno di cui si ha paura.
Ognuno di noi butti via il metro con il quale perde tempo a calcolare la propria statura e così avrà sempre quella di un bambino.
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