sabato 29 settembre 2012

FESTA DEI Ss. MICHELE, GABRIELE E RAFFAELE, ARCANGELI. Professione Solenne di D. Guglielmo

Oggi, la liturgia nel suo personale facebook ci offre la festa dei santi arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele che stanno accanto a noi come discreti compagni durante il nostro viaggio sulla terra. Direi che D. Guglielmo, con questi tre big celesti, tre protettori così in excelsis, inizia proprio bene la sua vita da monaco professo solenne, nella nostra comunità e per la Congregazione Benedettina di Monte Oliveto. Sono tre Angeli che esprimono la stessa radice del nome di Dio nella radice del loro nome: “hell”…

Gli stessi nomi dei tre arcangeli portano rispettivamente un dono che noi vogliamo rigirare a Dom Guglielmo. Sono tre doni che vengono ad equipaggiare la donazione di sé e per sempre che Dom Guglielmo oggi compie con la professione monastica solenne, circondato dalla sua comunità, dai famigliari e parenti giunti da Malta.

Dunque … : Michele, “Chi è come Dio?”, cioè lo stupore e il senso della presenza di Dio: per noi monaci questo atteggiamento è quello che dovrebbe colorare le nostre giornate; è un angelo combattivo, da chiamare nelle crisi piccole o grandi, quando ci sentiamo travolti da alcune negatività: ci aiuterà ad andare oltre le nostre paure e a vedere nero solo quando è buio! Gabriele, “Forza di Dio”, cioè, grande libertà interiore per aderire - obbedire! - alla volontà di Dio; nella BB è l’angelo degli annunzi importanti. Mille volte meglio della posta celere, ci trasmette nel cuore gli sms di Dio, ce li fa trovare scritti negli occhi di chi vive con noi e di chi casualmente incontriamo.  Raffaele, “Medicina di Dio”, cioè terapia d’urto fatta di sincera umiltà per guarire dalle sempre latenti paralisi nel praticare l’amore fraterno e nell’osservare la Regola. Questo angelo guaritore può aiutarci a fare pace con un certo nostro passato e a trasformare le nostre ferite in perle. Questi tre arcangeli Dio ce li ha dati apposta, sono lì per noi! Forse dovremmo riscoprirli di più e invocarli ancor di più.

Sono tanti i compiti che gli arcangeli e gli angeli assicurano a Dio e agli uomini ma, di certo, il più grande è quello della lode. E questo è anche il primo impegno del monaco, l’Opus Dei : Dio, primo servito. Prima del Canone, al Sanctus, la liturgia ci invita a unire i nostri cuori e le nostre voci all’esultanza degli angeli. Il monaco non ha bisogno di arrivare a quel punto della Messa: tutta la sua giornata dovrebbe essere un “Sanctus”, nella preghiera corale certo e anzi tutto ma anche per il resto delle 24 ore. Quello della laus perennis, in gran parte in coro ma non soltanto, è come un marchio di fabbrica che caratterizza, da spessore e autenticità alla vita del monaco. Anche per questo ti consegnerò tra poco il libro della Liturgia delle Ore: la Chiesa oggi ti elegge ad esercitarne ufficialmente il ministero e, come prevede il nostro Rituale, sarai insediato nel tuo stallo in Coro. La vita di un monaco ruota tutta intorno alla preghiera.

L’amore del Signore è fedele, fedele per sempre. Cerca, Don Guglielmo Maria, con tutte le forze di rispondere con quotidiana e gioiosa fedeltà alla fedeltà del Signore stesso. Non devi però mai dimenticare che questa tua consacrazione monastica è una grazia: una grazia che sprigiona ogni giorno l’aiuto necessario per la tua risposta. Non c’è amore senza una promessa, non c’è una promessa senza la percezione del “per sempre, non c’è un “per sempre” se non è fatto di santa perseveranza fino alla morte. Lo ricorda bene S. Benedetto alla fine del Prologo: “usque ad mortem in monasterio perseverantes” (Prl RB 50). Per Natanaele non è bastata la sua onestà, è stato necessario anche l’incontro con Gesù per annoverarlo tra i suoi discepoli. Anche a te, in fondo,  è successa la stessa cosa anni fa: hai incontrato il Signore che ti ha ri-orientato la vita indirizzandoti, attraverso un mix di con-cause, al nostro monastero. In genere, Dio fa più di quanto aspetti quando meno te lo aspetti!

 A conferma dell’investimento totale che stai facendo della tua vita su di Lui, ripeti anche tu ogni giorno la stessa professione di fede di Natanaele: “Tu sei il Figlio di Dio” (Gv 1,49).

Non voglio dilungarmi sugli impegni che la professione solenne comporta perché ad essi sei stato certamente preparato  dai due Padri Maestri di formazione che rispettivamente, prima l’uno poi l’altro,  la Provvidenza e l’obbedienza ti hanno messo accanto.

Recentemente, è stata pubblicata la biografia di un santo monaco cisterciense del Medioevo, Elredo di Rievaulx, con un titolo molto bello ed emblematico, che è tutto un programma: “Appassionatamente monaco”. Mi sembra che l’augurio che tutti noi ti facciamo, caro Dom Guglielmo, non possa essere diverso ma sia proprio lo stesso: sii appassionatamente monaco, cioè non condurre una vita monastica esangue e priva di smalto e slanci, ma sii testimone felice della tua scelta di consacrazione secondo la Regola di San Benedetto, nella Congregazione di Monte Oliveto.

domenica 23 settembre 2012

25ma DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (B)

Gesù continua ad educare i suoi apostoli sollecitandoli ad andare a Gerusalemme per condividere con Lui il mistero pasquale. Gesù parla di servizio, i discepoli sognano il successo. Gesù parla di croce, i suoi vogliono solo trionfi. Gesù parla di una strana  “classifica” in cui i primi sono ultimi e viceversa. Non il prestigio ma l’umiltà che è quella virtù che, quando si ha, si crede di non averla. La ricerca del potere ha sempre le sue tristi derive nella rivalità, nell’invidia e nell’ambizione. Nella Regola di S. Benedetto, il cap. 7 “De humilitate”, con la suggestiva immagine della scala, compendia tutto l’impegno di conversione del monaco.  Di essa non esiste un formato tascabile o ridotto, va accolta “sine glossa”, senza sconti, senza cedere alla tentazione di togliere o saltare qualcuno dei 12 gradini. L’ascesi condiziona l’ascesa! : “con l’esaltazione si discende e con l’umiltà si sale” (RB 7,7).

Chi è dunque il più grande?  Per rendere più espressiva la sua catechesi, Gesù accompagna le parole con un gesto destabilizzante e disarmante: prende un bambino, lo mette al centro e poi lo abbraccia. Una fotografia di sicuro effetto quella che scatta l’evangelista Marco. Ma perché proprio un bambino?  Sappiamo che ai tempi di Gesù non contava nulla, era l’ultimo di tutti. Perciò Gesù ne fa l’immagine del vero discepolo e quindi copia conforme all’originale, il Maestro, il quale “pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò e umiliò se stesso”(Fil 2, 6-11). Letteralmente potremmo dire: oscurò e azzerò se stesso. Ma ci sono certo anche altri motivi nella scelta di un bambino: perché esso non ha e non fa calcoli, non ha pretese da accampare, posizioni da conservare, privilegi da mantenere. Vive l’istante, riceve fiducioso ciò che gli viene dato. Si affida. Ha bisogno. Egli è anche l‘mmagine di chi è sempre abitato dal senso della meraviglia, della sorpresa. Uno diventa anziano non quando ha 70-80 anni, neppure quando perde la memoria, ma il giorno in cui la capacità di stupirsi, quando non si accorge più della bellezza che è intorno a lui e che è l’impronta digitale di Dio sulla terra.

Ma, agli occhi di Dio, è grande non solo chi occupa l’ultimo posto ma anche chi fa grande il suo cuore quando accoglie coloro che sono stati resi “piccoli” da tante sofferenze, fragilizzati dalle prove della vita.  Noi siamo grandi e importanti se frequentiamo queste persone. In loro c’è Cristo e, in Cristo, il Padre.

Le braccia allargate di Gesù esprimono molto bene quanto deve essere ampia la nostra capacità di donare e donarci, superando pregiudizi. Non si abbraccia uno di cui si ha paura.
Ognuno di noi butti via il metro con il quale perde tempo a calcolare la propria statura e così avrà sempre quella di un bambino.

sabato 15 settembre 2012

MEMORIA B.V.M. ADDOLORATA

Dopo aver esaltato ieri la croce del Signore - come segno di vita e non di morte - per meditare quanto sia grande il cuore di Dio, oggi volgiamo gli occhi ai piedi della croce, per vedere quanto grande può diventare il cuore di una persona.

Gesù dice al discepolo: “Ecco tua madre”. Ma la traduzione esatta sarebbe: “Guarda: è tua madre!”. Come a dire: guarda a Maria, lasciati educare da lei, dai suoi gesti, dalle sue parole, dai suoi silenzi. Prolunga la sua presenza.

Ecco tuo figlio”: sono tre parole, ma contengono ciascuno di noi, non solo Giovanni. “Madre” e “figlio” sono due parole di vita. Mi sembra che, con esse, ci venga indicata la vocazione ad essere datori (“madre”) e portatori (figlio) di vita attraverso le due dimensioni della “maternità” e dell’accoglienza.

La presenza di Maria sotto la croce non è solo un appello alle nostre emozioni ma anche l’immagine-guida per i giorni in cui la croce intercetta la nostra vita o quella di chi vive con noi, per evitare la tentazione, comprensibilissima, di preferire la circonvallazione del Calvario, nodo di amore e di dolore.

La nostra attenzione più che sul dolore di Maria si deve fermare sul dolore del mondo le cui schegge arrivano anche in mezzo a noi, nella nostra comunità. Magari non ce ne accorgiamo, ma ci sono. “Stabat”: siamo chiamati a stare accanto a infinite croci di tutte le dimensioni. E’ come se ci venisse detto: prenditi cura della vita d’altri, anche se tu stesso stai male, anzi soprattutto quando stai male, e guarirai. Illumina altri e ti illuminerai, consola altri e sarai consolato, accogli, perché le mani di chi accoglie terminano in ali d’angeli; accogli, e nelle braccia di chi accoglierai troverai le braccia stesse di Dio ad accogliere te.

venerdì 14 settembre 2012

FESTA DELL’ESALTAZIONE DELLA CROCE

La Chiesa oggi ci pone davanti al mistero bruciante e sconvolgente della Croce che è il miracolo definitivo di Gesù. Come il popolo nel deserto, siamo chiamati  a innalzare il nostro sguardo verso di essa perché colui che vi è adagiato sopra ci aiuti a leggere i percorsi della nostra vita, orientandone  i passi.

Come non lasciarsi raggiungere da quelle parole dette da Gesù a Nicodemo: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio Unigenito…” (Gv 3,16) ?  Tanto”… La Croce è la misura dell’amore di Dio per il mondo, cioè noi: “tanto”… eccessivo, senza limiti, infinito. “tanto”… è la vita che sgorga da quelle piaghe per risanare le nostre ferite interiori; “tanto”… è l’umiltà di Dio che accetta di morire per darci la vita senza fine. Nella Croce possiamo capire il “come” e il “quanto” dell’amore di Dio per noi.  Alla domanda: “chi è Dio?”, San Bernardo di Chiaravalle rispondeva: “Cerca la risposta nel crocifisso”.

La croce è la firma autografa di Dio, con l’inchiostro del suo sangue. La croce è la cattedra da cui ci viene la più bella lezione di Dio.

L’amore, anche quello umano, può disegnare cuori ma anche incidere ferite. Davvero l’amore per qualcuno può procurarci delle ferite. Spesso sono visibili solo a Dio. Ma c’è una certa bellezza anche in esse, ci innestano nel tronco vivo della vita. E, come per i vegetali, ci si innesta solo per ferita.

In cooperativa con la Croce, manifesto anche delle nostre sofferenze, sulla quale Gesù ha sperimentato la desolazione più amara e il drammatico abbandono di Dio,  possiamo affrontare i momenti più dolorosi. Ma perché? Perché l’amore conosce molti doveri, ma il primo di questi è di stare con l’amato. E’ in croce per essere con me e come me. Perché io possa essere con Lui e come Lui.

mercoledì 12 settembre 2012

MEMORIA DEL NOME DI MARIA

C’è un po’ un contrasto ombra-luce in questa bella celebrazione del Santisssimo nome di Maria che, come olivetani, ci permette di festeggiare un onomastico collettivo. “Additur proprio nomen Maria”, ricorda incisivamente il n. 59 delle nostre Costituzioni. Portare il nome di Maria non è portare una decorazione, è assumere un robusto impegno ad imitarne le virtù.

Da una parte c’è la parola conclusiva dell’apostolo Paolo che nella prima lettura  risuona in modo grave come una nota bassa in una cantata di Bach: “Passa infatti la figura di questo mondo” (1Cor 7,31). Un chiaro invito a puntare a un di più, discernendo ciò che è essenziale insieme ad una specie di parola d’ordine, uno slogan esistenziale: “relativizzare” tante cose del nostro vissuto per arrivare direttamente davanti a Dio.

Dall’altra c’è quel nome, il nome di Maria. Una riviera di luce dolcissima. Uno dei tanti significati, che tra tutti lampeggia, di questo nome è : “amata da Dio”… più chiaro di così?

Però a noi, in fondo, non interessano più di tanto le oltre sessanta interpretazioni etimologiche fornite dagli studiosi a riguardo del nome di Maria. E’ il suo nome, e basta. Ognuno di noi, pronunciando quel nome, davvero ci mette dentro un’infinità di significati tutti rigorosamente suoi. Questo soprattutto ci accade nel dire le 50 Ave Maria del Rosario che, con i suoi misteri,  è il Credo fatto preghiera.

Un nome, Maria, con il quale bussare alla porta del cielo.

Un nome semplice, eppure ricco di fascino.

Un nome comune, eppure ogni volta che lo pronunciamo ci sembra nuovo. Un nome pieno di musica, di bellezza.

Un nome che ci provoca delle risonanze interiori in quella parte tutta nostra che è il cuore, dove lei vuole sempre intonare il Magnificat.

Un nome che non è un nome … che si trascolora in quello di mamma., che è l’altro nome, il vero nome di Maria.

sabato 8 settembre 2012

SOLENNITA’ DELLA NATIVITA’ DI MARIA

Sì, sembra davvero  “così piccola” (Mi 5,1) -  prendendo in prestito le parole di Michea - nella prima Lettura - la presenza di Maria nel Vangelo appena proclamato che quasi il suo nome si perde in quel lungo e arido schedario anagrafico. Una galleria di ritratti nelle cui pieghe si insinua la creatività di Dio. Ogni nome, un tassello del grande mosaico della Storia della Salvezza. Una fredda, monotona litania di personaggi biblici con annesso un grappolo di promesse che, in un crescendo quasi rossiniano, sussurra sempre più forte un nome: Gesù. Egli è l’estuario benedetto in cui finisce il fiotto di vita della catena delle generazioni, un lento zig-zag che intreccia miserie e grandezze, ombre e luci. La nascita di Maria si immette in questo fiume carsico che percorre la storia di Israele e nostra e, grazie a lei, questo fiume finalmente viene alla superficie.

Se mai per noi, come cristiani, ci deve essere un vero album di famiglia coi ritratti, questo è dato proprio da quella lista di nomi. Quei nomi elencati da Matteo sono i nostri antenati perché Gesù non è solo “Dio con noi”, ma anche nostro fratello, anzi: “il primogenito di molti fratelli”, come ricorda S. Paolo nella seconda Lettura. “Molti fratelli”: noi siamo i suoi fratelli. E’ in fondo questa la vera genealogia di Gesù Cristo e noi ne facciamo parte, come figli di Maria per la sua maternità universale ricevuta ai piedi della croce. Questa famiglia, questa genealogia nuova di Gesù Cristo si dilata non per generazione ma per vocazione.

Quell’elenco si rompe all’ultimo anello. Di colpo, scocca l’ora voluta da Dio. Giunto al nome di Giuseppe, l’evangelista Matteo abbandona lo schema costante e quasi ossessionante dell’albero genealogico: “X generò Y per che Giuseppe era “lo sposo di Maria dalla quale è nato Gesù, chiamato il Cristo” (Mt 1,16). “Dalla quale è nato Gesù”… sì, davvero, tutto quell’elenco sembra snodarsi verso questo punto òmega: Gesù, radicato nel tessuto del tempo.

Ma quale souvenir portarci via da questa solennità che in oriente è chiamata anche “il natale d’autunno”? Credo che lo possiamo trovare impigliato nelle varie antifone che si muovono tutte sullo stesso festoso registro: la gioia: “gaudeamus…gaudium…cum iucunditate”. Queste parole sono avvolte in una danza di neumi gregoriani che si rincorrono! La nascita di Maria è davvero un appuntamento con la gioia, perché lei ci ha donato Colui senza il quale la nostra vita perderebbe significato e smalto.

SOLENNITA’ DELLA NASCITA DI MARIA (Vigilia)

La Solennità della natività di Maria, titolare della nostra chiesa abbaziale e patrona della nostra Congregazione, è quasi una parentesi o oasi natalizia nel declinare dell’estate. E’ in qualche modo un anticipo del Natale, e prima ancora dell’Immacolata, alla quale corrisponde come collocazione di data nel calendario. La sua nascita è in funzione di quella del Figlio. Lei viene alla luce per darci la Luce: Gesù.

Il compleanno di Maria ci porta in dono, ogni volta, anche l’invito alla ricerca e al recupero di virtù “perdute” e che, da qualche parte, sono minacciate di estinzione e non più quotate alla borsa valori della società. Virtù che non solo ci scortano nella vita di quaggiù per renderci meno poveri in umanità ma che anche fanno parte del nostro quotidiano impegno di conversione.

Maria è stata scelta per la sua piccolezza, Maria è il solenne elogio della piccolezza da parte di Dio. La piccolezza richiama istintivamente la semplicità. La semplicità non è una cosa semplice!

In genere viene vista come una virtù di serie B. Di una persona che non possiede doti particolari e verso la quale vogliamo esprimere un giudizio generoso, diciamo che “è semplice”. Un diploma che rilasciamo con larghezza a chi è sprovvisto di qualifiche più valide ed appariscenti: cultura, intelligenza, notevoli capacità pratiche…
Forse non ci rendiamo conto che proprio la semplicità è una virtù eccezionale. E’ cosa straordinaria essere semplice. In realtà, è semplice chi ha svolto un paziente e lungo lavoro di semplificazione interiore, con l’adozione continua e intensa dell’agostiniano “redire ad cor”.  La semplicità è il frutto dell’unità interiore. Tutta la tradizione monastica è concorde nell’affermare e proporre che la vita del monaco è un cammino di unificazione che punta all’essenziale, eliminando ingombri di vario genere. Lo ricorda la stessa parola “monaco”, una parola-prisma perché da essa parte con mille sfaccettature l’identità che significa. Monaco non è soltanto colui che vive da solo o  colui che ha un solo amore- Cristo - ma è soprattutto chi, plasmato dalla Paola di Dio “rectissima norma vitae” (RB 73,3), vivendo “sub regula vel abbate” (RB 1,2), cammina nel doppio binario dell’ “habitavi secum” di gregoriana memoria e di quello splendido manifesto di vita monastica che è il prologo della Regola. In questo modo attiva un processo di unificazione interiore. Tutti i 73 capitoli della Regola vanno in questa direzione - sono 73 spinte centripete - anche quelli che sembrano essere meno espliciti in proposito. Sono cose che già sappiamo, fin dai tempi del noviziato, ma è bene ricordarcele spesso per evitare alcuni blackout nella nostra vita spirituale. Lasciamoci positivamente artigliare ogni giorno dal celebre: “Ad quid venisti?”che San Bernardo di Chiaravalle ripeteva spesso a se stesso. Credo che resti profondamente vera la risposta data da un abba del deserto a quel discepolo che gli aveva posto questa domanda: “Chi è il monaco?”. L’anziano rispose: “Il monaco è colui che si chiede ogni giorno: chi è il monaco?”. Certo non per mettere continuamente in discussione gli elementi essenziali della vita monastica ma per tenere sempre aperto il cuore a recepirne gli insegnamenti.

domenica 2 settembre 2012

VENTIDUESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (B)

Dopo un’assenza di cinque domeniche domani ritroveremo l’evangelista di turno, Marco, che guida il nostro cammino in questo anno liturgico. Per cinque domeniche abbiamo letto o ascoltato il capitolo sesto di Giovanni, sentendo più volte parlare di “pane”, trovandoci così spesso riportati a considerare la realtà del mangiare e del bere, e domani è come se il tema si riproponesse: “Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo le tradizioni degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?” (Mc 7,5). Questa era una delle prescrizioni del vasto e variopinto campionario di precetti stabiliti con inesauribile cavillosità e con forte tasso di fiscalità: 248 comandi e 365 divieti! Gesù, smascherata la deviazione farisaica, va subito al dunque con un insegnamento positivo e fornisce un elenco di dodici prodotti deteriori (sei al singolare e sei al plurale) che escono dal cuore: “Dal cuore dell’uomo escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza.” Gesù dunque lancia il programma di un’ecologia per nostro cuore che a Lui assomiglia un po’ come a una fabbrica che può produrre però anche altre cose, ma belle. E le cose belle non hanno un numero chiuso. E, infatti Gesù non le elenca. Ci può essere un catalogo dei vizi ma le cose buone pulite non possono essere classificate una volta per tutte.

Come ci insegna Gesù è necessario l’allacciamento diretto tra cuore e comportamenti esteriori. Senza un cuore disinquinato, non si possono avere mani pulite, tutt’al più solo igienicamente sterilizzate. Altrimenti si finisce nell’ipocrisia. E il fariseismo non è morto con l’ultimo dei farisei. Inoltre, la forma più sottile di ipocrisia è pensare che farisei siano  solo e sempre gli altri.

Gesù smonta il ritualismo, il formalismo, il moralismo, tutti “ismi” che vanno eliminati, ma senza far sparire la legge di Cristo. Occorre distinguere tra forme e sostanza, ma quando mancano sia la sostanza che le forme? Gesù che riporta tutto al “di dentro” dell’uomo, ossia al cuore, rettifica e illumina senza disprezzare la legge. Certo bisogna dare un posto di primo piano alla propria coscienza, appellarsi ad essa per le scelte da fare. E’ necessario però stare attenti perché spesso la coscienza non è una sorgente incontaminata, anch’essa può corrompersi. Dovrebbe essere spesso essere sottoposta a controlli e verifiche con il proprio confessore o padre spirituale. La legge non va assolutizzata. Ma in certi casi considerare la propria coscienza come un assoluto è solo un alibi per non fare il proprio dovere. Inoltre, si agisce secondo coscienza quando ci si lascia portare dal cuore come fosse un telecomando, con la liquidazione dell’ “io proprietario”. Altrimenti il cuore non è più sotto la luce di Dio ma è “un cuore lontano” da Lui. “Cuore lontano” sono parole di Isaia riportate da Gesù. Auguriamoci che non siano la fotografia del nostro cuore.

Le regole sono il vestito dell’amore che è il criterio che le rende genuine e dona trasparente coerenza alla nostra vita spirituale. Dovremmo porci spesso due domande per evitare lo scoglio del formalismo: che cosa regala la Parola di Dio alla mia vita? E che cosa regala la mia vita alla Parola di Dio oggi?
Siamo nella grande novena in preparazione alla Solennità, a noi così cara, della natività di Maria. Guardiamo a lei, la donna del cuore che custodisce, conserva e medita nel cuore  conferens in corde suo”, annota Luca - le parole, gli eventi e i silenzi di Dio.