domenica 1 dicembre 2013

PRIMA DOMENICA DI AVVENTO (A)

“I giorni di Noè”(Mt 24,37): in quei giorni gli uomini erano troppo normali! Erano diventati smemorati di Dio. Erano impegnati solo a vivere alla giornata, rosicchiando il quotidiano. Una vita senza profondità. “I giorni di Noè”, per noi, sono quelli in cui ci dedichiamo solo a dimensioni corte, quando saziamo inutilmente la nostra fame di cielo con abbuffate di piccoli bocconi di terra. Ci sono delle persone che si incontrano quando la vita vuole farci un regalo. Dio, ci fa incontrare, ci manda continuamente suo Figlio. Una Presenza che non si vede con gli occhi ma si sente con il cuore, se è rimasto quello di un bambino.
… e non si accorsero di nulla”(Mt 24,39), soggiunge Matteo. Loro del diluvio, noi del respiro di Dio sotto il quotidiano. Viene in mente la storia del Titanic. L’orchestrina continuava a suonare mentre la nave si riempiva di acqua e si inabissava. Mentre una musica suadente invita al ballo, i nostri attuali iceberg (crisi economica, pericolo nucleare, disastro ecologico, terrorismo, ecc. ….) tentano di affondarci. Ma noi possiamo e dobbiamo reagire alla tentazione dello scoraggiamento e della rassegnazione, perché abbiamo nella manica l’asso vincente che ci permette di restare in piedi ed andare avanti: Cristo che è “lo stesso ieri, oggi e sempre” (Eb 13,8). Possiamo cogliere una chiara indicazione per uscire dalla superficialità, dall’essere persone-sughero, cioè a dare spessore con la pratica della Parola di Dio, ad ogni dimensione del nostro vissuto quotidiano. E’ un impegno robusto ma che ci abilita a rendere profondo ogni momento.
La pagina di Matteo si presenta a tinte fosche, debordante di terrificanti minacce. Pur sapendo che non si tratta di una fantasiosa fiction ma di una realtà vera anche se futura, non guardiamo al linguaggio ma al messaggio. Resettiamo quegli atteggiamenti elencati dalla seconda lettura e puntiamo all’essenziale. “Due uomini saranno nel campo, uno sarà portato via e uno lasciato” (Mt 24,40). Non è un accenno alla morte, ma a due modi diversi di stare nel campo della vita. La vita non è un dono ma un prestito, va vissuta bene. Ed è una sola, non c’è una sua replica. La grazia connessa con l’Avvento è quella di essere un colpo d’ala verso ciò che veramente conta.
L’Avvento è un tempo per non essere più degli inguaribili distratti: Gesù certo è venuto più di 2000 anni fa, verrà alla fine dei tempi ma viene anche nella ferialità di ogni giorno e nelle pieghe delle ore, attraverso fatti e persone. Si impasta nella nostra storia personale come lievito di felicità vera. Nella filigrana dei nostri giorni inserisce pagliuzze di bellezza spirituale. Ecco perché dobbiamo avere i sensori sempre accesi per cogliere il suo passaggio, che possiamo facilmente percepire soprattutto nei piccoli gesti di amore, dati e ricevuti. Come ricorda Matteo, Dio a volte può venire come un ladro, ma solo per rubarci quello che di noi ci fa stare male come certe valigie pesanti dove ci sono quelle esperienze negative che spesso siamo tentati di ripetere.

In fondo tutta la vita dovrebbe essere un Avvento! E allora, adottando le coordinate della vigilanza e della prontezza, mettiamoci - un po’ come i soldati in caserma - sull’“attenti!” cosicché un giorno incontrando Dio, Egli nel suo abbraccio eterno ci dica: “riposo!”.

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