“I giorni di Noè”(Mt 24,37): in quei giorni gli uomini erano troppo
normali! Erano diventati smemorati di Dio. Erano impegnati solo a vivere alla
giornata, rosicchiando il quotidiano. Una vita senza profondità. “I giorni di Noè”, per noi, sono quelli
in cui ci dedichiamo solo a dimensioni corte, quando saziamo inutilmente la
nostra fame di cielo con abbuffate di piccoli bocconi di terra. Ci sono delle
persone che si incontrano quando la vita vuole farci un regalo. Dio, ci fa
incontrare, ci manda continuamente suo Figlio. Una Presenza che non si vede con
gli occhi ma si sente con il cuore, se è rimasto quello di un bambino.
“… e non si accorsero di nulla”(Mt 24,39), soggiunge Matteo. Loro
del diluvio, noi del respiro di Dio sotto il quotidiano. Viene in mente la
storia del Titanic. L’orchestrina continuava a suonare mentre la nave si
riempiva di acqua e si inabissava. Mentre una musica suadente invita al ballo,
i nostri attuali iceberg (crisi
economica, pericolo nucleare, disastro ecologico, terrorismo, ecc. ….) tentano
di affondarci. Ma noi possiamo e dobbiamo reagire alla tentazione dello
scoraggiamento e della rassegnazione, perché abbiamo nella manica l’asso
vincente che ci permette di restare in piedi ed andare avanti: Cristo che è “lo stesso ieri, oggi e sempre” (Eb 13,8). Possiamo cogliere una chiara indicazione
per uscire dalla superficialità, dall’essere persone-sughero, cioè a dare
spessore con la pratica della Parola di Dio, ad ogni dimensione del nostro
vissuto quotidiano. E’ un impegno robusto ma che ci abilita a rendere profondo
ogni momento.
La pagina di Matteo si
presenta a tinte fosche, debordante di terrificanti minacce. Pur sapendo che
non si tratta di una fantasiosa fiction
ma di una realtà vera anche se futura, non guardiamo al linguaggio ma al
messaggio. Resettiamo quegli atteggiamenti elencati dalla seconda lettura e
puntiamo all’essenziale. “Due uomini
saranno nel campo, uno sarà portato via e uno lasciato” (Mt 24,40). Non è
un accenno alla morte, ma a due modi diversi di stare nel campo della vita. La
vita non è un dono ma un prestito, va vissuta bene. Ed è una sola, non c’è una
sua replica. La grazia connessa con l’Avvento è quella di essere un colpo d’ala
verso ciò che veramente conta.
L’Avvento è un tempo
per non essere più degli inguaribili distratti: Gesù certo è venuto più di 2000
anni fa, verrà alla fine dei tempi ma viene anche nella ferialità di ogni giorno
e nelle pieghe delle ore, attraverso fatti e persone. Si impasta nella nostra
storia personale come lievito di felicità vera. Nella filigrana dei nostri
giorni inserisce pagliuzze di bellezza spirituale. Ecco perché dobbiamo avere i
sensori sempre accesi per cogliere il suo passaggio, che possiamo facilmente
percepire soprattutto nei piccoli gesti di amore, dati e ricevuti. Come ricorda
Matteo, Dio a volte può venire come un ladro, ma solo per rubarci quello che di
noi ci fa stare male come certe valigie pesanti dove ci sono quelle esperienze
negative che spesso siamo tentati di ripetere.
In fondo tutta la vita
dovrebbe essere un Avvento! E allora, adottando le coordinate della vigilanza e
della prontezza, mettiamoci - un po’ come i soldati in caserma - sull’“attenti!”
cosicché un giorno incontrando Dio, Egli nel suo abbraccio eterno ci dica:
“riposo!”.
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