Ieri, gli angeli, la
mangiatoia, un bambino. Oggi, quasi un dirottamento . Si ha l’impressione di
essere un po’ destabilizzati dalla celebrazione di un martire dopo le gioiose ore
appena trascorse. Sembra quasi che i riflettori della liturgia abbiano
dimenticato il Protagonista e slittato su Stefano, uno dei primi sette diaconi.
Sembra quasi un calo di tono.
In questa epoca di fast-tutto, in cui cioè si vive
all’insegna del continuo cambiamento e della velocità, la liturgia vuole invece
con santa sapienza, non esaurire nel 25 dicembre l’immensa ricchezza spirituale
del Natale di Nostro Signore. Possiamo dire che il Natale ha in questo giorno,
tinto di rosso sangue, il suo tempo supplementare, perché Gesù è nello spirito,
nel cuore, nei pensieri di Stefano, il primo martire. Stesso itinerario, stesso
destino. Stefano fotocopia nella sua vita quella di Cristo: nella predicazione,
nel processo subito, nella morte violenta. Ci sono dei sorprendenti
parallelismi tra la morte del Maestro e quella del discepolo: quest’ultimo
ripete più o meno le stesse parole di Gesù in croce.
Il sangue versato da
Stefano è un inno di amore a Gesù e un attestato di fedeltà al Vangelo. Natale
dunque non è solo un coro di dolci melodie ma anche una sinfonia drammatica
fatta dei rantoli di morte di tanti martiri.
La prima lettura ci ha trasmesso quello che
sembra essere un dettaglio e invece non lo è: la presenza di Saulo. Il mondo è
come una grande ragnatela, fatta di migliaia di fili, ognuno dei quali
collegati ad un altro. C’è un filo che collega la morte violenta di Stefano a
Saulo, è come se Stefano avesse passato il testimone al futuro S. Paolo.
Gli Atti degli Apostoli
(At 6,15) ci riportano il particolare che il volto di Stefano era “come quello di un angelo”. I testimoni
di Gesù sono sempre luminosi anche se dentro hanno qualche sofferenza. I loro
occhi brillano perché hanno una febbre costante: quella di raccontare con la
vita chi è Gesù. E così sia anche per noi.
Nessun commento:
Posta un commento