L’Atteso nasce nella
forma più inattesa. Nasce come un profugo. Nasce in una stalla! Nasce nella
nostra vita per abitarla. Nasce sulla paglia delle nostre fragilità e miserie.
Quel Bambino ci ruba il cuore e non chiede altro che essere ospitato nella
nostra vita. E così, dentro il battito umile e ostinato del nostro cuore batte
un altro cuore. Di quel Bambino, una volta incontrato, non se ne può più fare a
meno. Ci tiene per mano fin dal suo primo respiro. Il Natale non è una delicata
leggenda raccontata per commuoverci, non è una fiaba per bambini. E’ storia nel
senso crudo, letterale della parola. Il cristianesimo poggia sulla roccia
solida della storia, verificabile e documentata, sulla roccia solida della
grotta di Betlemme.
Abbiamo ascoltato un
vangelo immenso e da vertigine. Racconta di Dio. Vangelo che ci vieta pensieri
piccoli. Non ci lascia incollati all’istante che fugge. Non sono parole
bio-degradabili: restano lì, allineate come stelle. Diciotto versetti, pacati e
solenni e che forse dovremmo leggere in ginocchio. Ci fanno “navigare” nel
mistero dell’Incarnazione e scopriamo che nei misteri dolorosi delle mille Via Crucis del mondo e nei mille
sentieri di gioia che la vita sa ancora regalarci, la Parola, oggi, si è fatta
carne. Prende casa in mezzo a noi. Una Parola che si fa carne tra le lamiere
contorte di una baracca distrutta dal tifone (come recentemente nelle
Filippine) o tra le macerie di case distrutte da un terremoto; una Parola che
si fa carne tra gli scafi delle carrette del mare ondeggianti verso Lampedusa;
una Parola che si fa carne tra i capannoni deserti di fabbriche chiuse per la
crisi; una Parola fatta che si fa carne in certi reparti di ospedale dove i
malati attendono più o meno rassegnati la morte.
E per quel che ci
riguarda personalmente, siamo davanti ad un bivio: accettiamo o rifiutiamo che
Dio pianti la sua tenda nella nostra
vita? Accettarlo, vuol dire cambiare il modo con cui si guardano le cose e così
le cose che guardiamo cambiano.
Lo sguardo di un
bambino appena nato ci offre un percorso con due coordinate: la serenità e la
spontaneità. La serenità, perché per un bambino tutti sono amici, con i quali
giocare. Se a noi adulti si avvicina qualcuno di nuovo, spesso attiviamo dei
filtri mentali se non dei sospetti. E
poi, la spontaneità, perché per un bambino tutto è un regalo. A noi adulti le
cose non bastano mai, vogliamo di più e di meglio. Un bambino, con una cosa che
magari noi buttiamo via, ci può giocare per un intero pomeriggio. Dovremmo
tornare a quel bambino che c’è in noi per lasciarlo giocare. Recuperiamo quella
serenità e quella spontaneità che nonostante tutto non abbiamo perso ma che
sono in qualche angolo buio del nostro cuore.
Sia questo l’impegno
che prendiamo, insieme ad altri impegni di pura marca evangelica, oggi ma non
solo oggi. Il Natale infatti si allarga a tutti i 365 giorni dell’anno.
Rivestiamo ogni giorno con la bellezza del Natale!
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