mercoledì 25 dicembre 2013

NATALE (giorno)

                                  
L’Atteso nasce nella forma più inattesa. Nasce come un profugo. Nasce in una stalla! Nasce nella nostra vita per abitarla. Nasce sulla paglia delle nostre fragilità e miserie. Quel Bambino ci ruba il cuore e non chiede altro che essere ospitato nella nostra vita. E così, dentro il battito umile e ostinato del nostro cuore batte un altro cuore. Di quel Bambino, una volta incontrato, non se ne può più fare a meno. Ci tiene per mano fin dal suo primo respiro. Il Natale non è una delicata leggenda raccontata per commuoverci, non è una fiaba per bambini. E’ storia nel senso crudo, letterale della parola. Il cristianesimo poggia sulla roccia solida della storia, verificabile e documentata, sulla roccia solida della grotta di Betlemme.

Abbiamo ascoltato un vangelo immenso e da vertigine. Racconta di Dio. Vangelo che ci vieta pensieri piccoli. Non ci lascia incollati all’istante che fugge. Non sono parole bio-degradabili: restano lì, allineate come stelle. Diciotto versetti, pacati e solenni e che forse dovremmo leggere in ginocchio. Ci fanno “navigare” nel mistero dell’Incarnazione e scopriamo che nei misteri dolorosi delle mille Via Crucis del mondo e nei mille sentieri di gioia che la vita sa ancora regalarci, la Parola, oggi, si è fatta carne. Prende casa in mezzo a noi. Una Parola che si fa carne tra le lamiere contorte di una baracca distrutta dal tifone (come recentemente nelle Filippine) o tra le macerie di case distrutte da un terremoto; una Parola che si fa carne tra gli scafi delle carrette del mare ondeggianti verso Lampedusa; una Parola che si fa carne tra i capannoni deserti di fabbriche chiuse per la crisi; una Parola fatta che si fa carne in certi reparti di ospedale dove i malati attendono più o meno rassegnati la morte.
E per quel che ci riguarda personalmente, siamo davanti ad un bivio: accettiamo o rifiutiamo che Dio pianti la sua tenda nella nostra vita? Accettarlo, vuol dire cambiare il modo con cui si guardano le cose e così le cose che guardiamo cambiano.

Lo sguardo di un bambino appena nato ci offre un percorso con due coordinate: la serenità e la spontaneità. La serenità, perché per un bambino tutti sono amici, con i quali giocare. Se a noi adulti si avvicina qualcuno di nuovo, spesso attiviamo dei filtri mentali se non dei sospetti.  E poi, la spontaneità, perché per un bambino tutto è un regalo. A noi adulti le cose non bastano mai, vogliamo di più e di meglio. Un bambino, con una cosa che magari noi buttiamo via, ci può giocare per un intero pomeriggio. Dovremmo tornare a quel bambino che c’è in noi per lasciarlo giocare. Recuperiamo quella serenità e quella spontaneità che nonostante tutto non abbiamo perso ma che sono in qualche angolo buio del nostro cuore.

Sia questo l’impegno che prendiamo, insieme ad altri impegni di pura marca evangelica, oggi ma non solo oggi. Il Natale infatti si allarga a tutti i 365 giorni dell’anno. Rivestiamo ogni giorno con la bellezza del Natale!

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