Non sappiamo se, nell’ultima Cena, dopo che Gesù ebbe lavato i piedi e riprese le sue vesti, qualcuno dei dodici apostoli si sia alzato da tavola e, con grembiule, brocca, catino e asciugatoio, si sia diretto a lavare i piedi del Maestro. Probabilmente, no.
C’è da supporre, comunque, che dopo la sua morte, ripensando a quella sera, i discepoli non abbiano fatto altro che rimproverarsi l’incapacità di ricambiare la tenerezza di Gesù. Sarà mai possibile - si saranno forse detti – che non ci sia venuto in mente di strappargli dalle mani quei simboli del servizio e, ripetere sui suoi piedi ciò che egli ha fatto con ciascuno di noi? Credo che dovette essere così forte il disappunto della Chiesa nascente per quell’occasione perduta che, quando Gesù apparve alle donne il mattino della Risurrezione – come ci ha appena riferito il Vangelo – esse non seppero fare di meglio che lanciarsi su quei piedi e abbracciarli. Testuale: “Esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono” (Mt 28, 9). Quasi per risarcire Gesù, sia pure a scoppio ritardato, di un’attenzione che la notte del tradimento non gli era stata offerta.
“Gli abbracciarono i piedi”! La Pasqua, infondo, è anche tutta qui. Nell’abbracciamento di quei piedi. Essi devono divenire non solo il punto di incontro per i nostri momenti di amorosa preghiera al Signore, ma anche la cifra interpretativa di ogni nostro servizio reso agli altri. L’una e l’altra cosa insieme. Se non afferriamo i piedi di Gesù, cioè se non riserviamo del tempo per la preghiera, lavare i piedi al prossimo, cioè fare gesti carità, non basta. Se caduti in ginocchio, non interpelliamo quei piedi di Gesù sulle nostre scelte quotidiane, il trascorrere 24 ore in servizi vari, forse rischierebbe di essere solo ricerca sterile di sé e magari motivo di vanagloria. Ma è anche vero che non possiamo fermarci all’adorazione davanti all’ostensorio luminoso di quei piedi forati: essi ci rimandano ai piedi del prossimo in necessità. Chi, per amore del Signore, fa spreco di
generosità, vive veramente e scivola dall’abbraccio soffocante di una esagerata attenzione a se stesso ed evita i trabocchetti dell’egoismo.
E’ la salute che da anni alla vita ma è l’amore che le da senso.
Un giorno, della nostra vita resterà solo ciò che abbiamo donato. Ciò che si spende è perduto, ciò che si possiede lo lasceremo ad altri, ciò che abbiamo donato resterà per sempre.
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