Mistica, stimmatizzata, energica donna d’azione, operatrice di pace, abile diplomatica, fine mediatrice. Riporta il Papa (“il dolce Cristo in terra”) a Roma. Ricuce lo strappo di uno scisma. Analfabeta, ma ci ha lasciato lettere (ben 13 ai monaci olivetani) che sono capolavori di spiritualità. Questo, e altro ancora, è stata S. Caterina, compatrona d’Europa, patrona d’Italia insieme a S. Francesco d’Assisi e, con S. Teresa d’Avila, tra le prime donne ad essere proclamata Dottore della Chiesa.
Il brano di Vangelo proclamato, che riprende la logica delle Beatitudini, considerato un po’ come il “Magnificat” di Gesù, ci aiuta a cogliere il “segreto” di questa grande Santa: la sua vita è stata improntata a quella dei “piccoli” di cui parla Gesù. Essi non sono soltanto i bambini che sono i nostri migliori maestri, perché sono disarmati e disarmati, semplici, diretti ed immediati. Ma, “piccoli” per Gesù sono anche i portatori di ogni tipo sofferenza. Questi li dobbiamo mettere in cattedra. Ci insegnano più loro che forse tanti anni di teologia. Passare un’ora sola con un malato, un sofferente ci fa entrare nel mistero di Dio: è teologia viva, è fare teologia allo stato puro. Ma i piccoli sono anche tutti coloro che non hanno il potere né il sapere né l’avere, come S. Caterina che era povera e illetterata. Inoltre, i piccoli sono quelli che abbandonano la pretesa di bastare a se stessi.
Gesù ci chiama a riposare in Lui, capace di ricaricarci, motivarci e farci riprendere il cammino dopo qualche possibile sbandata. Non è un rifugio di fortuna ma un porto di amore nel quale approdare. Ci chiama alla sua scuola per imparare la mitezza e l’umiltà. Gesù si impara imparandone il cuore, il modo di amare. Discepoli del suo cuore per non essere analfabeti del nostro cuore. Vuole che prendiamo su di noi il suo giogo, che è pesante e leggero insieme, perché amare da tanta gioia ma anche tanta sofferenza.
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