Ogni funerale che celebriamo è una lezione di vita e di futuro.
C’è una parola che mi sembra pennellare a tutto tondo il profilo spirituale di D. Arcangelo. Una parola che appartiene a quel cantus firmus che ha fatto da sottofondo ai suoi 88 anni di vita come cristiano, come monaco e come sacerdote. Questa parola scritta nell’antifona che ha fatto da base al canto esistenziale di D. Arcangelo è fede. Siamo nell’anno della fede e anche un’occasione come questa può darci lo spunto per un abbozzo di riflessione.
Tutti noi possiamo testimoniare che quella di D. Arcangelo è stata una fede rocciosa, limpida, come la fiducia cieca di un bambino nell’amore della sua mamma. Questa fiducia intrepida si è tradotta soprattutto in un’obbedienza declinata davanti alle richieste dei vari Superiori che ha avuto. Quante volte egli ha dovuto coniugare i sinonimi del verbo credere: fidarsi, obbedire, rischiare, andare dietro a Gesù, secondo la definizione di fede che propone il testo conciliare Dei Verbum: “fede è l’atteggiamento con cui l’uomo si consegna a Dio liberamente e totalmente” (n.5).
La fede che ha infiammato il cuore del nostro confratello badengo è stata di ottimo conio, della lega inossidabile di Abramo, di S. Benedetto e del nostro S. Bernardo. Come Abramo: “Esci dalla tua terra e va”… e lui è stato in diversi monasteri… (Guatemala)
Questo suo spessore spirituale era abbinato ad un carattere trasparente, estroso, inventivo, allegro, gran lavoratore, connotato di tipica toscanità. Come non ricordare il suo simpatico umorismo che talvolta sfociava in una gradevole vis comica?
In questi ultimi mesi, con grande lucidità e ammirevole serenità, si è preparato all’incontro con sorella morte. L’attendeva, con quei suoi occhi vispi che sprizzavano desideri di Paradiso: “Desiderare la vita eterna con tutto l’ardore spirituale”, ricorda S. Benedetto nella Regola. La morte non ci deve far paura, semmai ci deve far paura una vita anemica di Vangelo, di amore sul quale saremo giudicati. D. Arcangelo ha avuto uno sguardo particolarmente paterno su quelle persone - molto numerose - sofferenti per seri disagi interiori dai vari nomi. Li ha accolti, li ha seguiti, li ha aiutati a superare le loro sofferenze.
Ogni persona cara che ci lascia rende tutti contemporanei. Perché in Dio non c’verità della nostra fede che i defunti ci invitano a tirare fuori da un certo dimenticatoio. Una verità di fede che professiamonel Credo. Molto opportunamente il nuovissimo Rito delle esequie prevede che esso sia detto (noi lo canteremo) al momento della sepoltura, al cimitero.
Maria, porta del cielo e Madre di misericordia, accompagni Don Arcangelo all’incontro con Dio.
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