giovedì 11 ottobre 2012

La fede è il caso serio della vita, nel senso che con o senza fede, con molta o poca fede, le cose cambiano e tanto. Tutto dipende se al centro c’è o non c’è Dio che con la sua Parola illumina e orienta i nostri giorni, Dio dal quale allontanarsi è cadere, al quale rivolgersi è risorgere, nel quale rimanere è stare saldi, al quale ritornare è rinascere, nel quale abitare è vivere in pienezza. Esiliare Dio o snobbarlo ci fa essere senza radici e senza ali, schiacciati sul presente e con un aumento vertiginoso di desertificazione del senso di vivere. Per camminare senza essere depistati dovremmo pregare spesso il Credo che è il racconto dell’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo: le verità da credere non sono altro che la sequenza infinita dell’amore di Dio per noi. Il Credo è uno dei segni richiesti dall’Anno della fede. Per questo, noi abbiamo pensato di esporlo su un apposito copri leggio dove resterà per tutto l’anno.

Se restringiamo la luce che proietta l’anno della fede sulla nostra specifica realtà esistenziale, ci accorgiamo subito che la fede è il respiro vitale che permea tutta la vita monastica, è il registro che muove tutta l’intelaiatura della giornata del monaco, è davvero la conditio sine qua non

Il Prologo alla Regola, che è cristocentrica, ce lo conferma. Come non ricordare il v.21: “Cinti dunque i fianchi con la fede…”? Per San Benedetto tutto deve essere compiuto , perché tutto è visto, alla luce della fede. A cominciare dalle persone. L’abate è obbedito perché in monastero “creditur”, cioè si ritiene per fede che egli è Christi  vices(2,2); così l’accoglienza degli ospiti (53,1-2.7), la cura per i poveri e i pellegrini (53,15), la premura per gli ammalati (36,1-2) sono sostenuti dall’onda lunga della fede. E non soltanto le persone, ma anche le cose sono viste e utilizzate alla luce della fede. Allora non c’è da stupirsi che il monastero dove ubique credimus sappiamo per fede che Dio è dappertutto presente” sia definito da S. Benedetto “domus Dei”… non potrebbe essere diversamente!

Perfino il tempo viene valutato diversamente: non è più kronos, cioè una successione di ore, ma kairòs, cioè corrente di grazia e di salvezza. Sul fondale di un tempo visto così si ricama l’Opus Dei. Il tempo del monaco indossa quotidianamente il paramento della Liturgia delle ore. Il Papa ha detto una frase che non ha bisogno di commenti: “Chi trova Dio, ha trovato tutto. E noi lo possiamo trovare solo perché egli prima ci ha cercato e ci ha trovato”.

La fede di San Benedetto espressa nella Regola e che dovrebbe essere anche quella di ogni monaco, può essere sintetizzata in tre parole: “Obsculta”: ascolta la chiamata di Dio… fides ex auditu, “perfice”: porta a compimento il sogno che Dio ha avuto su di te creandoti; “pervenies”: approderai nell’abbraccio finale con Dio.

Sotto un certo aspetto, quest’anno della fede per noi monaci è un “di più”. Il motu proprio con il quale Benedetto XVI indice l’Anno della fede si intitola significativamente “Porta fidei”. Se ci pensiamo bene la porta del nostro monastero, quella vera, è quella della fede, una porta sempre aperta.
Maria, donna di fede, “beata quae credidisti”- “beata perché ha creduto” (lc 1,45), tonifichi la nostra fede per credere senza chiedere e assumendo con fierezza il Credo nel domicilio del nostro cuore perché da lì doni cadenze di testimonianza cristallina alla nostra vita cristiana.

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