sabato 2 febbraio 2013

FESTA DELLA PRESENTAZIONE DEL SIGNORE

Ecco è accaduto: è realmente accaduto a un bambino portato nel tempio come tanti altri bambini, secondo il precetto mosaico, di venire riconosciuto come il primo - “il primogenito sacro al Signore” – di essere identificato come l’unico, come l’atteso. E’ realmente accaduto ad un anziano di stringere tra le sue braccia la luce del mondo, “leggere” Dio nel bambino di Maria. E’ realmente accaduto alla giovanissima madre di sentirsi percorrere da un brivido nel lampo di quella spada che le avrebbe attraversato la vita, facendole acquistare un altro nome: Addolorata. Simeone lega Maria non solo alla croce del Figlio ma anche alle innumerevoli croci degli uomini, tutti a carico del suo amore materno, insegnandoci che la sofferenza più che spiegazione vuole condivisione. Così il mistero gaudioso della presentazione di Gesù al tempio è diventato di schianto il prologo della serie straziante dei futuri misteri dolorosi.
Orientati a Dio come girasoli alla luce. Simeone e Anna vivono la sorpresa dell’incontro con Dio che si manifesta ai loro occhi rapiti e sbigottiti. Vedono l’infinito entrare nel finito. Raccolgono la risposta retrodatata all’appassionato sospiro di Albert Camus: “Basterebbe che l’impossibile fosse!”. Simeone e Anna vedono ciò che altri non vedono: l’inizio dell’offensiva di Dio per salvarci. Loro sono lì, nel tempio, anche per tutti noi: l’intera umanità incrocia il suo Salvatore nella Chiesa.
Un gesto, un segno, un dono. Sono i tre archi che articolano questa festa, ponte tra Natale e Pasqua. Il gesto è quello dell’offerta, il segno è quello della luce, il dono è quello dell’incontro. In questo itinerario che scorre dall’offerta all’incontro, noi monaci come tutti i consacrati, ci rispecchiamo perché vi possiamo riconoscere la dinamica della nostra vocazione, con la sua avvincente bellezza. Ognuno con varianti proprie, dovute a circostanze, luoghi e persone. “E anche a te una spada trafiggerà l’anima” (Lc 2,35). L’espressione “e anche a te” (et tuam ipsius animam…) ci ricorda con realismo che accogliere il progetto di Dio su di noi può talvolta costare tanta fatica, le prove e le crisi o ci sono o sono sempre in agguato. In quei momenti, facciamoci regalare da Simeone la virtù della perseveranza, abbinata a speranza e fiducia in Dio sforzandoci di vedere noi stessi dall’alto e anche, se è il caso, non prendendoci troppo sul serio. Quel passare del bambino dalle braccia di Maria a quelle di Simeone è carico di messaggi che dobbiamo raccogliere. In filigrana vi leggiamo l’invito forte a prendere tra le nostre braccia la presenza di Dio che abita il nostro quotidiano in monastero. Abbracciando quel bambino riceviamo inevitabilmente le impronte di Dio su di noi.
Sappiamo che la grammatica esistenziale del monaco si declina sul “si revera Deum quaerit” (RB 58,7). Come è stato per Simeone, così anche per il monaco è necessario avere un cuore attento per riconoscere il Signore che abitualmente si nasconde sotto le apparenze più semplici. La Regola ce lo ricorda in quasi tutti i capitoli: l’abate, i fratelli (anziani e giovani), gli ammalati, i poveri, gli ospiti…in quello spazio che è il monastero: “officina vero claustra sunt monasterii, ricorda la Regola in chiusa del quarto capitolo(RB 4,78). E, in fondo, sta in questa litania quotidiana di incontri la vera gioia del monaco che alla fine di ogni sua giornata, a Compieta, può cantare in verità: “Ora lascia o Signore, che il tuo servo vada in pace… perché i miei occhi hanno visto…visto!. E in questo vedere è tutta la vita del monaco!

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