Gesù e un corteo funebre. La Vita incontra la morte. E, su tutto l’episodio, quelle parole: “ne ebbe compassione”.
Una madre privata dell’unico figlio. In quella bara ci sono due vite. Il suo viso rigato di lacrime che disegnano sentieri dolcissimi di nostalgia del figlio, è una preghiera senza parole. “Vedendola…”, ci dice Luca riferendosi a Gesù. “Vedere” non è solo posare lo sguardo sull’altro ma è farlo entrare dentro di se, perché l’occhio è la vera finestra del cuore. Così fa Gesù, anzi il Signore, come lo chiama quasi d’improvviso Luca. Gesù, che ha in sé cuore di uomo e cuore di Dio, si commuove. “Ne ebbe compassione”, traduzione pallida di un verbo greco che significa sconvolgimento dentro di sé insieme ad un’incontenibile tenerezza. La terra che più tardi berrà il suo sangue, adesso beve il suo piangere commosso. Il Signore raccoglie ogni nostra sofferenza, ogni nostra paura, ogni nostra malattia, ogni nostra tristezza. Ogni nostro pianto più o meno sommesso. Con noi, in quei momenti, anche Dio è infelice.
La Vita tocca la morte. Quel figlio viene restituito vivo a sua madre.
“Non piangere” le ha detto Gesù. Lo dice a tutti noi. Equipaggiati di questo suo annuncio, possiamo vincere ogni paura. Egli ripete a ciascuno di noi: “Ragazzo, te lo dico io: alzati!” (lc 7,14). E quanto è bello quel “te lo dico io”, quanto da pace e sicurezza, quanto ci fa abbandonare in Dio ed avere più fiducia nella vita.
Ma, anche noi, se abbiamo compassione, possiamo compiere dei piccoli miracoli. In certe tristi situazioni sono più efficaci le lacrime delle parole. Qualche volta, invece di dire “non piangere” sarebbe bello chiedere di poter piangere insieme perché ci sono dolori più grandi di noi, ci sono dei drammi più grandi della nostra intelligenza.
Ci sono tante “risurrezioni” possibili, se non necessarie, da attuare. Anzitutto, dentro di noi. Possiamo avere forse una fede spenta, un cuore sotto anestesia, sepolto dall’egoismo e dall’indifferenza. Una coscienza disattivata da troppo tempo. Addirittura ci può essere un’anima morta dentro di noi. Le peggiori morti sono quelle spirituali anche se dall’esterno non si notano. Sono molte e variegate le situazioni verso le quali esercitarci in tentativi di restituzione alla vita. Sono miracoli alla nostra portata.
A pensarci bene, ci sono anche vivi da risuscitare! Persone che non si aspettano più nulla. Persone mai amate o mal amate. Persone paralizzate dalla solitudine o dalla disperazione, magari per una brutta malattia. Persone che hanno perso la voglia di vivere o che sono stanche di non vivere. Prima o poi incontriamo qualcuno che ci offre la possibilità di rappresentare Dio che ama la vita, cambia la vita, restituisce la vita.
Essere cristiani non significa solo avere il coraggio della propria fede ma avere anche il coraggio del proprio cuore, commisurato su quello di Cristo.
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