La Domenica delle Palme
è la porta che ci apre la Settimana Santa, gioiello dell’anno liturgico, la
Grande Settimana che fa eco ai sette giorni della creazione. Il tempo dell’uomo
è sconvolto, nasce l’ottavo giorno: quello del Risorto che noi, come ci
suggerisce S. Benedetto, vogliamo attendere “cum spiritalis desiderii
gaudium” (RB 49,7).
Una settimana che è
“la” settimana, cioè il centro e l’apice della nostra vita spirituale; è una
miniera dalla quali non si finisce mai di estrarre i tesori spirituali nascosti
nelle sue varie celebrazioni liturgiche, negli insegnamenti che affioreranno a
cascata soprattutto in quel vertice e vortice che è il Sacro Triduo, quando
Gesù lascia da parte i dibattiti della mente e da spazio ai battiti del cuore.
Del suo amore per noi. Sono i giorni del nostro destino.
Settimana chiamata
“santa” per gli eventi che propone e rivive, eventi decisivi per la storia di
Dio con gli uomini. Avremo a disposizione emozioni forti e incalzanti,
abbondanza di testi e di gesti. Il tornare, ogni anno, a considerare la morte e
risurrezione di Gesù è tornare sempre alle nostre radici; non è e non può
essere una fiction, ma è scovare e
scavare ragioni di fede. Questi giorni sono per noi una scuola di vita, che non
omette la lezione fondamentale sul mistero della sofferenza e della morte.
Nella Settimana Santa è
come se facessimo una specie di corso-base di cristianesimo, che poi
riprenderemo giorno per giorno fino a quando arriverà la nostra ora nona, e
potremo anche noi ascoltare la voce di Gesù: “Oggi sarai con me in Paradiso” (Lc 22,43). Da allora, ogni morte,
non sarà che una porta spalancata sul “paradiso”.
Domani ascolteremo il
racconto, lungo, straziante e dettagliato, della Passione di Gesù secondo la
redazione di Matteo. Un racconto non per la nostra istruzione ma per la nostra
conversione. Un racconto tutto costellato di citazioni tratte dall’AT proprio
per indicare Gesù quale perfetto compimento delle promesse di Dio. Gioia e
dolore, esultanza e condanna. Osanna e crocifiggilo. Una narrazione dai toni
crudi. Ma nelle sue pieghe già filtra la luce della risurrezione. La Passione
secondo Matteo è pervasa da un impressionante senso di abbandono e di
solitudine. Domani non ascolteremo un semplice reportage anche se avvincente, non un thriller, ma un annuncio carico di fede. Il racconto del dolore di
Dio. Saremo intercettati da un alternanza di baci e di sputi, di sguardi
d’amore e di tradimento, di mani che spezzano il pane e di altre che contano
monete, di occhi che piangono e di altri che organizzano i riti della
crocifissione. Siamo tutti protagonisti, all’ingrosso o al dettaglio, della
Passione di Gesù: ognuno di noi ha impersonato, di volta in volta, Giuda, Pietro,
i discepoli che sono scappati. Oppure i capi dei Giudei, la folla, Pilato.
Siamo davanti a un Dio
piagato e che va consolato con i nostri gesti di amore. La Passione-Morte di
Gesù non è un ricordo una tantum.
Ogni nostra celebrazione eucaristica riattualizza e rivive quegli avvenimenti. Ma la Passione accade anche in dimensione
esistenziale per noi, perché talvolta la vita ci riserva un calvario, piccolo o
grande.
La liturgia di domani,
prevede che in certi casi si possa adottare la forma breve. Viene da pensare che invece, come documenta
l’esperienza, la passione, ogni passione - fisica o spirituale - è sempre in forma lunga. A volte dura tutta la vita.
La Passione di Cristo, infatti, non si è ancora conclusa. Continua e si
prolunga in tante persone e in tanti luoghi, come certi reparti degli ospedali.
Investe il presente di molte persone. Non ci può dunque essere, in un certo
senso, la forma breve della Passione
perché essa assume un’ampiezza spropositata e variegata. Nessuno arriva in
Paradiso con gli occhi asciutti. Nemmeno Gesù.
In questi giorni ci
accompagni l’immagine delle braccia di Gesù in croce, cattedra dalla quale ci
insegna l’arte di amare. Braccia inchiodate e distese in un abbraccio continuo
e indicibile per ognuno di noi. Quelle braccia spalancate sono le porte sempre
aperte del Paradiso.
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