venerdì 25 gennaio 2013

FESTA DELLA CONVERSIONE DI SAN PAOLO

Questa festa viene a chiudere significativamente la Settimana di preghiera per l’unità delle Chiese che dipende dalla nostra conversione a Cristo. Conversione è la scoperta che un Altro vive in me. Questo è straordinario ma anche salutarmente rischioso perché ci obbliga inevitabilmente a cambiare tante cose. La porta dell’unità poi va attraversata in ginocchio, cioè con un supplemento quotidiano di preghiera.
Anche se, al dire di molti, questa Festa più che “della conversione di San Paolo”, dovrebbe forse essere chiamata “festa del mistero di un incontro”, incontro accaduto come un lampo in un temporale estivo. Incontro decisivo che ha strappato Saulo dal grembo della sinagoga per farlo venire alla luce di Cristo come Paolo.
Paolo il gigante, Paolo l’Apostolo, Paolo il fuoco che ha spalancato i cancelli in cui si stava chiudendo il cristianesimo, nella piccola cerchia di Gerusalemme. Paolo il missionario che percorre migliaia di chilometri per annunciare Cristo, Paolo che tiene i contatti con le comunità cristiane attraverso lettere dense e pregnanti. Tutto è iniziato in quel viaggio verso Damasco, strada che lo stava portando alla violenza. E’ dovuto cadere in terra, con le sue presunte certezze, il fariseo rabbioso per riconoscere il Nazzareno. Ha dovuto assaporare l’amara cecità del proprio fanatismo per spalancare lo sguardo alla verità del Figlio di Dio. Ha dovuto affidarsi al fragile e timoroso Anania per ritrovare la luce degli occhi e del cuore.
Cerchiamo di assomigliare a Paolo e non a Saulo.
Chiediamo al Signore la grazia di una vera conversione del cuore, affinché, come Paolo, possiamo arrivare a dire non un giorno, ma ogni giorno: “Per me vivere è Cristo” (Fil 1,21).

lunedì 21 gennaio 2013

MEMORIA DI S. AGNESE

Era un mercoledì quel 21 gennaio 1344 - 669 anni fa - in cui Clemente VI – nel palazzo papale di Avignone imponente e carico di storia, approvava la nostra Congregazione con due Lettere Apostoliche, “Vacantibus sub religionis” l’una, “Sollicitudinis pastoralis officii” l’altra, dove possiamo cogliere la sua chiara identità benedettina. E’ il giorno del compleanno della nostra Congregazione in quanto tale.
Un anniversario, questo del 2013, che acquista maggior risalto perché cade nel contesto celebrativo del VII Centenario dell’arrivo di S: Bernardo e compagni qui a Monte Oliveto, allora detta Accona.
Nel primo documento, nel giro di poche righe per ben quattro volte c’è un richiamo esplicito alla Regola di S. Benedetto che, come sappiamo, ha segnato e determinato la variegata vicenda del monachesimo occidentale fino ad oggi. Forse questa può essere un’occasione per un abbozzo di riflessione su questo codice del VI secolo che, con la sua visione realistica dell’uomo, ha formato centinaia di santi e che per noi, dopo la Sacra Scrittura, è il testo che orienta e ritma la nostra vita e le nostre giornate. La minima inchoationis regula, come la definisce Benedetto quasi in conclusione, è collaudata da 15 secoli di esperienza e forse è proprio da questo suo riconoscersi imperfetta che parte la sua inesauribile vitalità e attualità. “Discretione pracipua”, così la dipinge S. Gregorio Magno nei Dialoghi: non si cessa mai di esplorarla per coglierne efficaci insegnamenti di autentica vita monastica. E’ un apprendistato continuo nella nostra ricerca di Dio e ci indirizza sul doppio binario dell’Opus Dei che comanda l’orologio del monaco e su quello dell’Opus caritatis che comanda il cuore del monaco. Ci fa guardare verso l’Alto e verso l’altro. Un Prologo e 73 capitoli dove Benedetto, con una proposta concreta di vita, vuole trasmettere il suo amore per Cristo. Qualcuno ha detto: cor Benedicti, cor Christi.
La Regola di S. Benedetto è per noi monaci un dono ma anche e soprattutto un impegno da vivere quotidianamente, da non eludere per non deludere, come hanno fatto i nostri Fondatori.

domenica 20 gennaio 2013

SECONDA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Solo l’evangelista Giovanni ci riporta l’episodio delle nozze di Cana, il primo segno con il quale Gesù, dopo 30 anni di silenzio, manifesta la sua gloria. Una pagina che richiederebbe una prolungata lectio divina perché è tutta intarsiata di riferimenti e simbolismi biblici. A Cana, tra quei commensali, probabilmente ci siamo anche noi.
Un segno insolito. Non una guarigione, non un esorcismo, ma seicento litri di vino regalati ad un banchetto di matrimonio. Un matrimonio un po’ strano perché le figure degli sposi sono del tutto marginali. Certamente Dio è presente dove tutto è un immenso pianto ma si trova a suo agio dove c’è gioia, dove c’è vita. Un Dio felice che da il piacere di vivere. Dio si lascia coinvolgere dalle nostre sofferenze ma anche dalle nostre gioie. A Cana nasce la teologia trasparente della gioia, della quale il vino è un simbolo luminoso. Siamo nell’anno della fede e, possiamo dire, la gioia è un respiro della fede e per questo essa, la gioia, fa della nostra vita un catechismo vivente.
L’aria lugubre, un viso spento, tirato, quasi patibolare non è una lode a Dio ma lo è un viso gioioso o che almeno si sforza di essere tale.
“C’era la madre di Gesù…”:non è un semplice dettaglio di cronaca. E’la notizia più importante. Non è una indiscrezione sull’elenco degli invitati a nozze ma l’annuncio di una presenza, quella di Maria, anche nella vita di ognuno di noi.
“C’era…” – c’è la madre di Gesù.
Quando la nostra croce ci risulta troppo pesante, qui c’è Lei.
Se la vita ti riserva delusioni assortite e forse sconcertanti, c’è Lei.
C’è questa Madre che veglia su di noi. Maria si mette sempre dalla parte di chi sta male. Maria si accorge quando “non abbiamo più vino”, cioè quando abbiamo poca pace interiore, quando la fede sembra annaspare, quando la sofferenza bussa alla nostra porta, quando siamo troppo abitati dall’inflazione di qualcosa che non va, quando siamo estenuati da sentimenti, pensieri, da qualcosa che non va. “Non hanno più vino…”: quando ci manca quel “non so che” di festa interiore di seenità. Quando mancano forse piccoli perdoni, piccoli sorrisi, piccoli gesti per eliminare tensioni.
Maria ha avuto uno sguardo circolare, attento, delicato, premuroso. Chiediamole anche di convertire il nostro sguardo. A volte i nostri occhi sono accesi da una luce che non è proprio quella dell’amore fraterno. Sono solo pronti a cogliere le inadempienze degli altri ed restii ad ammettere le nostre, specialisti nello scorgere i difetti degli altri.
Alcune volte, forse, l’acqua della nostra vita è un po’ inquinata da prove, fatti e situazioni o, addirittura ci sembra che la nostra barca faccia acqua da tutte le parti. Occorre allora ascoltare quelle che sono, nel Vangelo, le ultime parole di Maria. Il suo testamento spirituale. “Fate quello che vi dirà”… Lasciamo che Gesù intervenga anche alla tavola della nostra vita personale perché ci porti il vino giusto, in quantità e qualità tali da far dimenticare il nostro che si esaurisce subito.
Non avviciniamoci con il contagocce quelle sei giare traboccanti di acqua cristallina che Gesù muta in vino raffinato. Non ci deve essere lo scrupolo dello spreco. Lasciamo che Gesù ritenti anche per noi lo stesso miracolo. A Cana è rimasta ancora una discreta provvista di vino: è per ciascuno di noi.