domenica 19 agosto 2012

SOLENNITA’ DI SAN BERNARDO TOLOMEI (Vigilia)

“Tibi silentium laus” – “per te il silenzio è lode”. Mi sembra  che il secondo versetto del Sal 65 nella versione ebraica possa fare da filo rosso per una breve riflessione nel ricordo di San Bernardo Tolomei.

La figura del nostro Fondatore ci ripresenta ogni anno una lista di valori di pura marca benedettina, da lui vissuti al massimo grado come affermano concordi i nostri storici. Tra essi, brilla in modo particolare il suo amore al silenzio. Lui e i suoi monaci erano entrati nel solco classico dell’ascesi monastica: “in silentio maximi” e vivendo sine glossa il sesto capitolo della Regola di S. Benedetto: De taciturnitate.

Il silenzio fa paura a molti nostri contemporanei perché li obbliga a fare dei conti inquietanti con se stessi. Costringe ad ascoltare gli atti di accusa di una coscienza forse troppo disattesa. Sono assediati dal rumore, bombardati da parole e suoni di ogni tipo. Un’aggressione acustica. Come se si volesse mettere sotto anestesia le dimensioni più importanti della vita. E così si resta facilmente nella schiuma delle apparenze, si vive alla superficie di se stessi.

Naturalmente il silenzio non va confuso con il mutismo cronico e ostinato che è la deformazione del silenzio. Il silenzio può essere negativo se esprime egoismo, indifferenza, insensibilità, estraneità ai problemi e sofferenze dell’altro; un silenzio in cui ringhia il rancore, l’ostilità, il disprezzo. E’ quello che S. Gregorio Magno definisce come lo strepitus silentii… O, come si dice oggi con il linguaggio post-moderno, è il silenzio “nero”. Si può mancare al silenzio ma anche mancare con il silenzio.

Il nostro Fondatore aveva capito che il silenzio è il maestro dei maestri perché insegna senza parlare. Aveva capito che il silenzio è la componente essenziale per entrare in comunione profonda con Dio, è il grembo da cui nasce il nostro dialogo con Lui. Il silenzio è la casa dei ritorni: del ritorno a Dio, del ritorno verso la propria vera identità, del ritorno verso gli altri.

Tutta la nostra vita corre tra due grandi silenzi: il silenzio del grembo materno per nove mesi e il silenzio di quello che sarà l’abbraccio con Dio al momento della nostra morte. Il silenzio dunque ci ha segnato e ci segnerà.

Nel silenzio non si cerca qualcosa, magari solo sensazioni emotive legate all’istante, ma si cerca il Tutto che è Dio. Naturalmente non basta il silenzio esteriore: esso è solo la cornice, ma il quadro è il silenzio interiore. E’ importante essere nel silenzio più che fare silenzio. Spesso si dice che si deve custodire il silenzio, in realtà è il silenzio che ci custodisce. Un monaco abitato dal silenzio diventa - sono parole di Elisabetta della Trinità - “come una cetra che suona sotto il tocco misterioso dello Spirito Santo”.
La nostra comunità monastica dovrebbe aiutare coloro che vengono in mezzo a noi a ritrovare la chiave perduta del silenzio, a riaccendere la nostalgia del silenzio che è nostalgia di Dio ma anche nostalgia del meglio di noi e della vita. Sì, gocce di silenzio sui nostri ospiti perché tornino poi a casa come se avessero ricevuto un dono. Perciò impegniamoci tutti a mettere in pratica quanto le Costituzioni (articolo V) e il Direttorio (nn. 57-60) ci indicano in merito. Facciamo in modo che questo luogo, come ai tempi del nostro Fondatore, sia sempre attraversato, come nella famosa esperienza di Elia sul Sinai, dalla “voce di un silenzio sottile” (I Re 19,12).

martedì 14 agosto 2012

SOLENNITA’ DELL’ASSUNZIONE DELLA B.V. MARIA (Vigilia)

Un anticipo di Paradiso.

La celebrazione liturgica della Solennità dell’Assunzione delle Madre del Signore ci invita a guardare a questo dogma mariano nel quadro globale della storia della salvezza  - c’è in lei il pieno compimento del mistero pasquale di Cristo - e come una realtà che ci riguarda da vicino. Non è solo un fatto personale di Maria ma ne siamo tutti coinvolti. Non è una verità mariana isolata ma è anche una verità circa il nostro futuro finale: lei è già ciò che tutta la Chiesa sarà. Qui possiamo cogliere un aspetto della maternità di Maria verso di noi: lei ci genera alla speranza della vita eterna, prospettiva che ci riconduce all’essenziale, ci da orientamenti precisi, ci evita di essere schiacciati sul presente.

Maria non è emigrata in cielo: è rimpatriata. Ci ha aperto la strada. Lei è già sulla riva dell’eternità. Arrivata prima, aspetta ognuno di noi per l’abbraccio con Dio. La processione di cui facciamo parte è iniziata. Come credenti, noi abbiamo il cielo incorporato.

Domani, all’interno della liturgia della Parola, il Vangelo - Lc 1,39-56 - ci trasmetterà il noto episodio della visita di Maria a S. Elisabetta, l’incontro tra il Nuovo e il Vecchio Testamento. Come un ostensorio che cammina, la Madonna già porta Gesù per le strade del mondo. Qui noi possiamo cogliere l’immagine di ogni credente: “portare Verbum”( Origene), portare la Parola, missione di ogni battezzato. “Benedetta tu”: è la prima parola che risuona nel dialogo  tra Maria e Elisabetta. Forse dovremmo custodirla come un tesoro e farla nostra. E’ la nota giusta per le nostre relazioni interpersonali. Cioè benedire, dire bene, cercare le parole più buone; dire all’altro: tu sei una benedizione di Dio per me, tu sei un dono di Dio per me, farlo sentire come tale. Altrimenti i nostri rapporti interpersonali saranno solo una ginnastica relazionale.

La stessa pagina evangelica ci srotolerà nel cuore il celebre canto di Maria, caratterizzato da gioia, stupore e gratitudine - Il Magnificat -  con il quale la Chiesa, nella Liturgia delle Ore chiude ogni giorno la celebrazione dei Vespri. Un mosaico di citazioni e riferimenti biblici, un alternarsi di emozioni delicate e di drammi storici. Un nuovo decalogo (ci sono come dieci “onde”!) non più prescrittivo di comportamenti verso Dio e i fratelli ma narrativo di un Dio che è per l’uomo. In nessun’altra pagina del Vangelo troviamo così tante parole dette da Maria che accoglie Dio per la grandezza che esso ha. Ognuno di noi riceve Dio nella misura in cui lo “magnifica”, cioè gli cede posto ( “più” posto!) nella sua vita e questo comporta rimpicciolire il proprio io, talvolta ingombrante.
Avere la fede di Maria che pone al centro non quello che io faccio per Dio, ma quello che Dio fa per me.

venerdì 10 agosto 2012

FESTA DI SAN LORENZO MARTIRE

La liturgia di questa festa è come intessuta di fuoco e di stelle, di fiamme e di bagliori in cui emerge la dimensione più  coinvolgente di chi vuole essere discepolo del Signore crocifisso e risorto, così come Lui ci ha appena indicato nel Vangelo ora proclamato.

In verità, in verità vi dico…”  (Gv 12,24).  Tutti sappiamo che questa ripetizione nel linguaggio biblico equivale al nostro superlativo assoluto. Quindi si tratta di una importante affermazione di Gesù.  Immediata ed esplicita. E’ sicuramente autobiografica perché Lui sarà il vero seme che dona la vita per la nostra salvezza, ma chiunque vuole essere suo discepolo deve fare lo stesso percorso e indirizzarsi alla medesima scelta. Così ha fatto anche San Lorenzo.

Se il chicco di grano non muore, rimane solo; se muore produce molto frutto” (Gv 12,24). E’ una legge della natura ma è anche una regola di vita per il cristiano. La parola centrale non è morire, ma molto frutto. Lo sguardo è sulla fecondità. Vivere è dare vita e ci sono molti modi per farlo. Dare la vita è ciò che fa intense e generose le nostre giornate. Le occasioni non mancano, si affacciano continuamente. Basta volerle incontrare. Non dare è già morire. L’amore nel Vangelo è un verbo: dare. Tutto ciò che non viene donato va perduto. L’amore non dice mai: basta ma dice: tutto. Per questo ognuno di noi deve sentirsi impegnato, con i gesti del servizio, a farsi chicco di grano seminato nel quotidiano monastico convertendo in seme ogni sua ora, nella terra della nostra comunità.

E’ il segreto della felicità del monaco. Almeno idealmente, sulla tomba di ognuno di noi si dovrebbe leggere: “Ha creduto all’amore”.