"Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto": la profezia di Zaccaria, nella linea del poema del Servo sofferente di Isaia, riportata da Giovanni a chiusa del Vangelo ci fa guardare alla croce, epifania salvifica del cuore di Cristo, non dal basso ma dall'alto, dalla prospettiva del Padre e vi leggiamo scritta a lettere di sangue una sola parola: amore. Sì, amare voce del verbo morire. Un amore che si declina con una fedeltà che non viene mai meno. La croce misura questo suo amore per noi. Viene davvero da chiedere usando le stesse parole di S. Ignazio di Loyola davanti al crocifisso: "Tu hai fatto così tanto per me e io cosa farò per te ?". Un cuore trafitto con una lancia. L'ultimo colpo di crudeltà sul corpo ormai esanime di Cristo diventa fonte di benedizione. Da quella ferita escono infatti sangue e acqua, nei quali molti vedono i simboli dell'Eucarestia e del Battesimo, ma esce anche un amore che tutto feconda e rinnova: lo Spirito Santo.
La regia liturgica di questa solennità parte dall'inquadratura di un corpo morto. Gesù che viene ucciso. Questo ci interroga. Anche noi possiamo dare la morte a qualcuno. Lo possiamo cioè uccidere nella sua qualità di fratello, ad es. negandogli il perdono. Ripicche, risentimenti, rancori, indifferenza ostentata e ostinata, sono tutti "attentati" all'amore, e quindi alla vita. Quando nego a qualcuno un posto nel mio cuore, io gli nego in un certo senso il diritto di vivere. Rifiutando l'amore fraterno, il perdono, la riconciliazione, io tolgo la possibilità della vita. Quando io ritiro il mio dono d'amore, io offro la morte.
Siamo quindi chiamati a passare attraverso il cuore di Cristo e ricevere attraverso questo canale quelle che la seconda lettura, dall'andatura così lirica, chiama sue "impenetrabili ricchezze" (Ef 3,8) per diventare, a nostra volta, canali di quella "compassione" (Os 11,8) presso i nostri fratelli. Perché non mettere un po' di "cuore" in tutto quello che facciamo, soprattutto quando si tratta di cose che richiedono molta pazienza e sacrificio?
Questa Solennità ci invita a ripetere il gesto bellissimo del discepolo amato, Giovanni, che, appoggiato il capo sul petto di Gesù, avverte un'indicibile commozione per l'imminenza della sua Pasqua e dai battiti del cuore si sente dire due parole: ti amo. Due parole che sono anche per ciascuno di noi. Convertiamoci alla sua tenerezza.
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