domenica 27 maggio 2012

SOLENNITA' DI PENTECOSTE

Ancora e sempre Pentecoste.

Dopo 50 giorni dalla Pasqua ci viene data la pienezza della luce, cioè lo Spirito Santo, "dulcis hospes animae" come canta la bella sequenza gregoriana.

Le classiche immagini del fragore, del fuoco, del vento sono quanto mai appropriate per esprimere stupore, emozione, meraviglia. Forse potremmo dire, come ma molto di più, infinitamente di più, come avviene quando ci lascia per sempre una persona cara. La sua presenza continua. Anzi, proprio la sua assenza fisica, comporta ritmi di presenze. Non siamo case vuote ma abitate. Lo Spirito Santo è il debordare dell'amore di Dio che ci consegna i noti sette doni. Lo Spirito Santo è fonte di comunione ecco perché la Pentecoste è l'anti-babele.

Con Lui, Maestro interiore che ci illumina la strada, abbiamo una marcia in più per evitare gli sbandieratori di ricette di felicità a buon prezzo e certi supermercati di illusioni.

Lo Spirito Santo bussa ad ogni porta, attende risposte, suscita energie insperate. Il lavoro dello Spirito Santo è quello di dare la vita. Lo affermiamo anche nel Credo: "...et vivificantem". Ecco perché la Parola più connessa con lo Spirito Santo è quella di "nascita", con tutto il suo vasto e variegato registro di significati. Sì, lo Spirito Santo, è tutto un lungo ripetersi di respiri vitali. La vita è nata da un soffio divino, dal respiro creativo del Ruach, come ci ricorda la BB, un soffio di immortalità nelle narici dell'uomo e la vita è partita. Ci vogliono milioni di respiri per mantenerla ma quando sorella morte arriva ce ne andiamo esalando un ultimo solitario respiro. E' tutto un lungo ripetersi di respiri, in ogni pensiero, azione, sogno, attesa. Un respiro che segna armonie e disarmonie, che raccoglie ossigeno e rilascia anidride carbonica...cioè: raccoglie energia e rilascia rifiuto, raccoglie vita e rilascia morte. Un mantice stupendo donatoci dal Creatore, nel quale inserire coesistente, inseparabile e all'unisono il respiro dello Spirito Santo che ci sana, ci converte, ci libera, ci riarmonizza con noi stessi e con gli altri, guarisce le nostre più segrete ferite o quelle provocateci dalla cattiveria di qualcuno.
Non è perciò tempo perso quello dedicato ad invocare lo Spirito Santo perché venga a dare una sveglia alla nostra fede. E allora, in questo momento, face to face con lo Spirito Santo facciamo così: socchiudiamo gli occhi e con fede, con forza e con passione, con il desiderio di una vita rinnovata, sponsorizzata da Lui,  diciamogli ancora una volta: "Vieni, luce dei cuori!".

sabato 26 maggio 2012

VEGLIA DI PENTECOSTE

Sul fondale dell'Anno liturgico nel quale si colloca e si dipana il tempo cronologico del cristiano riscattandolo da una piatta neutralità, emerge la solennità della Pentecoste sbocco e vertice del tempo pasquale: Gesù, risorto e asceso al Padre, dona il suo Spirito per rinnovare l'umanità. In questo momento mettiamo le nostre vite personali, come cetre al vento dello Spirito Santo, perché esse risuonino una polifonia che si accordi con il Vangelo. Lo Spirito Santo: travolgente come un ciclone, leggero come un soffio, delicato come un respiro, inaspettato come un dono. Ma entrando "in rete" con tutta la Chiesa vogliamo compiere una breve sottolineatura meditativa che sia anzitutto di taglio monastico. Che cosa ci dice S. Benedetto dello Spirito Santo? La Regola non è evidentemente un libro ispirato allo stesso modo e titolo dei 73 libri che formano la Bibbia, ma se la leggiamo "apertis oculis" e "adtonitis auribus" (RB, Prl 9) intercettiamo una presenza dello Spirito Santo e perciò, a ben diritto, la definiamo "Santa" Regola. Santa dunque non solo perchè stata scritta da un Santo, santa non solo perché in più di 15 secoli ha plasmato e donato l'aureola a tanti monaci e monache, ma santa anche perché è attraversata dalla brezza dello Spirito Santo. La Regola menziona la terza Persona della Trinità, consustanziale al Padre e al Figlio, solo quattro volte: nel Prologo, riportando un'espressione dell'Apocalisse: "Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese" (Ap 2,7); nel capitolo secondo, "Quale deve essere l'abate", con una citazione di Rm 8,15 : "Avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi,per mezzo del quale gridiamo Abbà! - Padre!" ; in chiusura del capitolo settimo "L'umiltà", virtù che si acquisisce grazie all'azione dello Spirito Santo; e, infine, nel capitolo 49,6 "Dell'osservanza della Quaresima", dove riporta una citazione di I Tess 1,6: "con la gioia dello Spirito Santo".

Ma non mancano altri riferimenti più o meno diretti circa lo Spirito Santo. Nell'uso, per sei volte, dell'aggettivo "spirituale" abbinato ad "arte": l'arte spirituale è il primo lavoro da esercitare nel monastero, come pure lo stesso aggettivo  "spirituale" unito ai sostantivi "desiderio" e "padre".
Come quel giorno gli Apostoli con Maria, anche noi stasera, siamo "omnes pariter in eodem loco" (At 2,1), infatti mi sembra che ci siamo tutti o quasi. Come comunità monastica, chiediamo di essere investiti anche noi dallo Spirito Santo. E con eccesso. Oltre ad un amore preferenziale e senza ripensamenti per Cristo ed ai sempre indispensabili sette doni (sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà, timor di Dio) ci dia pure i suoi nove frutti come riportati nell'elenco di S. Paolo nella Lettera ai Galati : "amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sè" - tutti ingredienti necessari per un'armoniosa vita comunitaria - ma ci porti anche doni più piccoli, forse più semplici: la gioia di vivere insieme, l'accettazione del fratello così com'è, il perdono reciproco, la serenità, la trasparenza, l'ordine, l'intensità sincera nelle variegate relazioni interpersonali, l'arte degli istanti felici. Tutto questo e altro ancora. E, in modo speciale, un amore preferenziale e senza ripensamenti per Cristo. Lo Spirito Santo soprattutto operi in noi una autentica "sanatio in radice" come direbbero i canonisti, cioè sradichi dal nostro cuore la radice velenosa dell'egoismo che intossica la vita fraterna e, al suo posto, trapianti la radice sana dell'amore.

domenica 20 maggio 2012

SOLENNITA' DELL'ASCENSIONE (B)

Il cielo è Qualcuno! E' in fondo questo il messaggio che la solennità dell'Ascensione, che nella versione di Marco risulta un centone di episodi riportati dagli altri evangelisti; essa ci vuole anche trasmettere l'invito ad impegnarci, sul ritmo binario "andate...predicate", a continuare la missione di Gesù. L'Ascensione non è una fuga di Gesù ma il ritorno alla comunione della Trinità.
Vi ritorna portandosi dietro tutta la sua umanità, trasfigurata dalla Risurrezione. Porta in Dio tutte le luci e le ombre della nostra umanità. L'Ascensione è una festa difficile: come si può far festa per uno che se ne va? Il Signore Gesù non è andato più lontano, ma, incredibilmente più vicino di prima. Se prima era insieme con i discepoli, ora sarà dentro di loro. Gesù siede alla destra del Padre: non è il particolare di un solenne cerimoniale celeste ma è la certezza della presenza eterna di Gesù in mezzo a noi, incisa in un "per sempre", senza limiti di tempo e di spazio. Quei suoi piedi che hanno camminato duemila anni fa in Palestina girano oggi per le nostre strade...e grazie anche a noi, se siamo gioiosi e attivi testimoni della nostra fede, moltiplicando le presenze del Risorto.

Gesù, in mezzo a noi, è un clandestino speciale: moltiplica le sue tracce perché possiamo trovarlo. E' anche sulla strada concreto, quotidiana talvolta scomoda e sofferta delle persone che stanno con noi che si trova la strada del cielo. Con l'Ascensione inizia anche la nostra nostalgia del cielo. Per molti tra noi la vita nel cielo non è altro che un'appendice, un supplemento alla vita terrena, una specie di post-scriptum di quel libro che è la vita terrena, considerata il vero testo. In realtà è il contrario: la vita sulla terra è solo la prefazione di quel libro il cui testo è la vita del cielo che ci attende. Ognuno di noi è un nodo di sangue e di cielo. Ma bisogna vivere da "ascesi", cioè da orientati ad un destino più grande. Gesù prende la via del cielo dopo aver dato ai discepoli la direzione di marcia. Si sottrae alla loro vista ma non alla loro vita. Anzi, prolunga la sua missione attraverso loro, attraverso noi suoi discepoli del terzo millennio.
 L'ultimo versetto che chiude il vangelo di Marco e apre quel "vangelo" che è la nostra vita, dice: "Il Signore operava insieme con loro" (Mc 16,20). Questo ci suggerisce che non agiamo con la nostra sola forza ma in essa, c'è sempre, intrecciata la forza di Dio. Il cristiano, responsabile della sua vocazione battesimale, lavora per il Regno di Dio in cooperativa con Gesù che è rimasto impigliato nel folto della nostra vita. Come ricordava un Santo: "Sulla terra Dio passeggia con noi" (S. Germano). Impariamo a coniugare cielo e terra, senza confonderli.  Se ci attardiamo a guardare sempre e solo l'alto, l'angelo ci strattona e ci dice: "Perché state a guardare il cielo?" (At 1,11). Sono parole degli Atti degli Apostoli (1a Lettura) che, a differenza di Marco che la accenna appena, narrano con maggiore ampiezza l'Ascensione. La via per il cielo è la strada in terra. Siamo fatti per il cielo ma ci arriviamo percorrendo i polverosi sentieri della terra. Siamo come alberi alla rovescia: le radici in cielo e i frutti sulla terra!
L'Ascensione inaugura il tempo della Chiesa con la sua storia di moltissime luci e di qualche ombra dovute alla inevitabile fragilità umana. Un proverbio ricorda: fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce! Guardiamo e non dimentichiamo le sue luminose pagine di santità, di generosa opera di servizio e promozione umana e sociale, pagine di dono, di martirio, di evangelizzazione. Un giorno, un giornalista che intervistava Madre Teresa gli ha chiesto: "Madre Teresa, cosa non va nella Chiesa?". Lei ha risposto: "Io e te non va nella Chiesa". La Chiesa siamo noi.

martedì 15 maggio 2012

FESTA DELLA MADONNA DI MONTENERO

Una pagina di Vangelo (Gv 2,1-11) conosciuta e tante volte ascoltata. Ma, ogni volta ci reca il dono di una riflessione nuova. Una pagina tutta intarsiata di riferimenti biblici e che richiederebbe una prolungata lectio divina. Soprattutto, una pagina che ci rivela stupendamente il "perché" e il "come" Maria sia accanto a noi. Siamo tutti figli a carico del suo amore.

"C'era la madre di Gesù": non è un semplice dettaglio di cronaca. E' la notizia più importante da portarci via alla fine della Messa. "C'era la madre di Gesù": non è un'indiscrezione sulla lista degli invitati a nozze. E' l'annuncio di una presenza - Maria - che non verrà mai meno nella vita di ognuno di noi. "C'era..." -  "c'è..." la madre di Gesù! Quando la nostra croce personale o quella che vediamo sulle spalle di un nostro fratello risulta troppo pesante, guarda che lì c'è tua madre... Se la vita ti riserva prove in serie, assortite e forse sconcertanti, lì c'è tua madre... Se sei a corto di speranza, se hai esaurito le scorte di speranza soprattutto verso te stesso, se ti ritrovi improvvisamente senza la pace nel cuore guarda che lì c'è tua madre...

"Non hanno più vino". Ma che finezza la Madonna! Non sbotta in uno sgarbato ed impersonale: "non c'è più vino" ma in un delicato "non hanno più vino", per togliere da un penoso imbarazzo i due sposini. Maria si accorge anche quando siamo noi a non avere più vino. Cioè, quando ad es. si  sono appannati la gioia di servire il Signore nel monastero, "sotto una Regola ed un abate" (RB 1,2). O, quando siamo abitati da inquietudini strane e forse inafferrabili, oppure quando un certo tipo di sofferenze bussa alla nostra porta e non abbiamo risposte da darci. In quei momenti basterebbe aggrapparsi ad un' Ave Maria: sono parole che profumano di cielo, sono parole povere che però ci tonificano e ci ridonano la pace e la voglia di andare avanti. Penso che molte volte noi abbiamo sperimentato questa realtà consolante. Maria si preoccupa e si occupa di noi. Maria vive con attenzione. L'attenzione è un atteggiamento amico verso gli altri. Il contrario dell'amore non è l'odio ma l'indifferenza perché nega che io esisto. Il contrario della comunione è la distrazione.
"Fate quello che vi dirà". Maria ha parlato con l'angelo, con Elisabetta, con suo Figlio. Queste sue parole sono dirette proprio a noi, sono il suo testamento. "Fate Il vangelo - fate cose di vangelo". A volte noi siamo come quelle sei giare di pietra colme di acqua cristallina che Gesù cambia in vino raffinato. Non sette, che è il numero perfetto e della pienezza ma sei, un numero malinconico che indica che qualcosa ci manca. Lasciamo che Gesù ritenti anche per noi lo stesso miracolo compiuto a Cana dove è rimasta ancora una discreta provvista di vino: esso è per ciascuno di noi. Talvolta l'acqua della nostra vita spirituale è inquinata e forse la nostra stessa vita "fa acqua" da tutte le parti. Occorre far sedere Dio alla tavola della nostra vita perché ci assedi di felicità vera e ci accenda continuamente nel cuore i suoi sogni su di noi.