venerdì 25 aprile 2014

25 aprile 2014

Notte amara, quella dei sette discepoli. Un brutta notte dentro di loro e sul mare, e in ogni riflesso d’onda hanno visto naufragare un volto, una vita. Loro sette, su quella barchetta che ciondolava lenta verso la riva dopo una notte di pesca senza risultati.
E poi c’è quel loro “no”, corale ed immediato, indirizzato a Gesù che chiede qualcosa da mangiare. E’ il “no” più pesante del Vangelo. Come a dire: ” lontano da te non abbiamo niente”. Alla nostra povertà interiore che chiama, risponde sempre la compassione di Dio.  E con abbondanza. La rete, dietro indicazione di Gesù, viene gettata dalla parte destra: come dal tempio scorre l’acqua che risana, come dal costato esce sangue e acqua.  Pesci, tanti pesci, troppi pesci! Dio non si lascia vincere da nessuno in generosità. Il numero simbolico di 153 pesci sta proprio ad indicare la sazietà, oltre che immagine della Chiesa che accoglie tutti i popoli.
Il Signore ci incoraggia a ricominciare quando il mare della vita sembra svuotato di speranza. Alla fine della nostra notte più fallimentare, se capitasse, il Signore ci sprona a ripartire nuovamente. E’ bello e confortante quell’inciso: “…stetit Iesus in littore”-“Gesù stette sulla riva” (Gv 21,4). Gesù è sempre sulla riva a cui si approda magari da naufragi di tempeste esistenziali, di storie andate a male. In comunione con altri perché, come ricorda un proverbio, se da soli si va più veloci, insieme con altri si va più lontano.
Ma per gettare la rete occorre essere “in rete” con Gesù, cioè vivere in sintonia e cooperativa con Lui, altrimenti la rete della nostra vita la buttiamo sempre dalla parte sbagliata. Non riconoscono subito Gesù come tale. Forse hanno un po’ ragione  per la loro diffidenza iniziale. Non si accettano sogni dagli sconosciuti. Ma Gesù vuole solo consegnarci il senso vero della vita.
Giovanni, con occhio limpido e cuore intuitivo, è come una vedetta, riconosce subito Gesù: “E’ il Signore!” (Gv 21,7). E’ davvero importante avere questa capacità di vedere nella vita il Signore; riuscire andare oltre i fatti, oltre certe nebbie…
Per incontrare il Signore sono necessari pazienti “avvistamenti” fatti di lettura e ascolto della sua Parola, di preghiera e di adorazione, soprattutto di amore che ci pulisce la vista.
Pietro, come sempre impulsivo, si butta a nuoto per andargli incontro. Stavolta è lui che precede Giovanni: non è come la sera di Pasqua dove Giovanni l’aveva battuto nella corsa al sepolcro. Il suo nuotare nel mare è simbolo del nostro andare verso Gesù. Gesù lo si raggiunge così: con energia, con sforzo costante, ma soprattutto con il desiderio del cuore.

domenica 20 aprile 2014

SANTA PASQUA

L’immagine è lì chiara, nitida. Nessuno può resettarla. Un sepolcro vuoto. Non desolatamente vuoto ma felicemente vuoto! Dentro non ci sono le spoglie del morto ma le spoglie della morte. La disgrazia è toccata ad essa non a Gesù. Tutta la nostra fede poggia su quella tomba vuota. Sono cambiate le regole del gioco: adesso si nasce per vivere e si muore per nascere per sempre! La nostra vita sulla terra non è più un pellegrinaggio verso la morte ma un pellegrinaggio verso la vita. Cristo condivide e partecipa la sua vittoria sulla morte con ciascuno di noi. La Risurrezione di Gesù ci garantisce da ogni collasso di speranza. Certo il male continua a scrivere parole terribili nel grande libro della storia ma la Risurrezione, anche se siamo nel dolore, ci mette al riparo dalla disperazione.
E’ un vangelo di corse. Sembra quasi sentirvi ancora l’ansimare affannato e trafelato dei vari personaggi. Alla tomba ormai vuota giunge per primo Giovanni, il discepolo dell’amore: l’amore fa sempre correre più veloci. Ma anche il passo più lento di Pietro porta alla tomba: non è mai troppo tardi per credere nel Risorto. Tomba non solo vuota ma anche spalancata. Vanno rimosse certe pietre che chiudono il sepolcro. Sbagli commessi, storie del passato, fragilità assortite. L’energia della Pasqua ci da la forza necessaria per far srotolare tutti questi macigni piccoli o grandi. Ci fa sbocciare tutte le primavere di cui abbiamo bisogno.
Molti sono gli argomenti storici, oggettivi, ma la prova più grande che Cristo è risorto, è che è vivo! Vivo, non perché noi lo teniamo in vita parlandone, ma perché Lui tiene in vita noi, comunicandoci in mille modi la sua presenza. “Tocca Cristo chi crede in Cristo”, diceva S: Agostino e noi possiamo fare esperienza della verità di questa affermazione.
Non è qui, è risorto” (Mt 28,6). Per raccontare la Risurrezione di Gesù, Matteo (concorde con Luca e Marco) usa gli stessi due verbi che noi coniughiamo la mattina: svegliarsi ed alzarsi. Come se i nostri giorni fossero impegnati ad una risurrezione quotidiana da certi padrini e padroni della nostra vita: la tristezza, l’egoismo, l’indifferenza, il pessimismo, le rassegnazioni. Oggi siamo chiamati a convertirci alla gioia, una conversione difficile per tanti motivi ma così necessaria. Per qualcuno una gioia specifica: quella di non ritrovare più il suo passato!

Buona Pasqua a tutti!

domenica 13 aprile 2014

DOMENICA DELLE PALME (Vigilia a Compieta)

La Domenica delle Palme è la porta che ci apre la Settimana Santa, gioiello dell’anno liturgico, la Grande Settimana che fa eco ai sette giorni della creazione. Il tempo dell’uomo è sconvolto, nasce l’ottavo giorno: quello del Risorto che noi, come ci suggerisce S. Benedetto, vogliamo attendere “cum spiritalis desiderii gaudium” (RB 49,7).
Una settimana che è “la” settimana, cioè il centro e l’apice della nostra vita spirituale; è una miniera dalla quali non si finisce mai di estrarre i tesori spirituali nascosti nelle sue varie celebrazioni liturgiche, negli insegnamenti che affioreranno a cascata soprattutto in quel vertice e vortice che è il Sacro Triduo, quando Gesù lascia da parte i dibattiti della mente e da spazio ai battiti del cuore. Del suo amore per noi. Sono i giorni del nostro destino.
Settimana chiamata “santa” per gli eventi che propone e rivive, eventi decisivi per la storia di Dio con gli uomini. Avremo a disposizione emozioni forti e incalzanti, abbondanza di testi e di gesti. Il tornare, ogni anno, a considerare la morte e risurrezione di Gesù è tornare sempre alle nostre radici; non è e non può essere una fiction, ma è scovare e scavare ragioni di fede. Questi giorni sono per noi una scuola di vita, che non omette la lezione fondamentale sul mistero della sofferenza e della morte.
Nella Settimana Santa è come se facessimo una specie di corso-base di cristianesimo, che poi riprenderemo giorno per giorno fino a quando arriverà la nostra ora nona, e potremo anche noi ascoltare la voce di Gesù: “Oggi sarai con me in Paradiso” (Lc 22,43). Da allora, ogni morte, non sarà che una porta spalancata sul “paradiso”.
Domani ascolteremo il racconto, lungo, straziante e dettagliato, della Passione di Gesù secondo la redazione di Matteo. Un racconto non per la nostra istruzione ma per la nostra conversione. Un racconto tutto costellato di citazioni tratte dall’AT proprio per indicare Gesù quale perfetto compimento delle promesse di Dio. Gioia e dolore, esultanza e condanna. Osanna e crocifiggilo. Una narrazione dai toni crudi. Ma nelle sue pieghe già filtra la luce della risurrezione. La Passione secondo Matteo è pervasa da un impressionante senso di abbandono e di solitudine. Domani non ascolteremo un semplice reportage anche se avvincente, non un thriller, ma un annuncio carico di fede. Il racconto del dolore di Dio. Saremo intercettati da un alternanza di baci e di sputi, di sguardi d’amore e di tradimento, di mani che spezzano il pane e di altre che contano monete, di occhi che piangono e di altri che organizzano i riti della crocifissione. Siamo tutti protagonisti, all’ingrosso o al dettaglio, della Passione di Gesù: ognuno di noi ha impersonato, di volta in volta, Giuda, Pietro, i discepoli che sono scappati. Oppure i capi dei Giudei, la folla, Pilato.
Siamo davanti a un Dio piagato e che va consolato con i nostri gesti di amore. La Passione-Morte di Gesù non è un ricordo una tantum. Ogni nostra celebrazione eucaristica riattualizza e rivive  quegli avvenimenti.  Ma la Passione accade anche in dimensione esistenziale per noi, perché talvolta la vita ci riserva un calvario, piccolo o grande.
La liturgia di domani, prevede che in certi casi si possa adottare la forma breve. Viene da pensare che invece, come documenta l’esperienza, la passione, ogni passione - fisica o spirituale - è sempre in forma lunga. A volte dura tutta la vita. La Passione di Cristo, infatti, non si è ancora conclusa. Continua e si prolunga in tante persone e in tanti luoghi, come certi reparti degli ospedali. Investe il presente di molte persone. Non ci può dunque essere, in un certo senso, la forma breve della Passione perché essa assume un’ampiezza spropositata e variegata. Nessuno arriva in Paradiso con gli occhi asciutti. Nemmeno Gesù.

In questi giorni ci accompagni l’immagine delle braccia di Gesù in croce, cattedra dalla quale ci insegna l’arte di amare. Braccia inchiodate e distese in un abbraccio continuo e indicibile per ognuno di noi. Quelle braccia spalancate sono le porte sempre aperte del Paradiso.